Sono Innocente (Fritz Lang, 1937)
Matteo Bittanti
Questo breve saggio è incluso nel libretto accluso alla versione DVD di Sono Innocente, parte della collana "I film della vita" edito da Eagle Pictures (2010).
Scheda
Diretto da Fritz Lang; Prodotto da Walter Wanger; Scritto da C. Graham Baker e Gene Towne; cast: Henry Fonda (Eddie Taylor), Sylvia Sidney (Joan “Jo” Graham), Barton MacLan (Stephen Whitney), Jean Dixon (Bonnie Graham), William Gargan (Padre Dolan), Warren Hymer (Muggsy), Charles Sales (Ethan), Margaret Hamilton (Hester), Guinn “Big Boy” Williams (Rogers), Jerome Cowan (Dr Hill); Musica: Alfred Newman; Fotografia: Leon Shamroy; Montaggio: Dan Mandell; Distribuito da: United Artists; Data di uscita (US): 29 gennaio, 1937); Durata: 86 minuti.
Testo principale
Seconda pellicola statunitense di Lang, You Only Live Once fa parte della cosiddetta “trilogia sociale” del regista austriaco, che include anche Fury (1936) e You and Me (1938). A fare da fil-rouge tra le tre produzioni è l’attrice Sylvia Sidney. You Only Live Once è liberamente ispirato alla vicenda di Bonny e Clyde che aveva monopolizzato l’attenzione dei mass media americani tre anni prima. A sua volta, il film può essere considerato uno dei migliori esempi del filone della coppia di amanti fuorilegge in fuga da una società corrotta, violenta e malvagia, che include, tra i tanti, They Live by Night (Nicholas Ray, 1949), Gun Crazy (Joseph H. Lewis, 1949) e, ovviamente, Bonnie and Clyde (Arthur Penn, 1967), senza dimenticare le innumervole varianti “degenerate” – da Natural Born Killers (Oliver Stone, 1994) a Surveillance (Jennifer Lynch, 2009). Sul piano narrativo, You Only Live Once non presenta particolari ambiguità [i]: Lang mette in scena l’antinomia tra l’anti-eroe Eddie Taylor (Henry Fonda), ex-galeotto supportato solo dall’amorevole partner Joan (Sylvia Sidney) – e la Società nel suo complesso. Eddie agisce – o meglio reagisce – in un’America moralmente corrotta, agitata da fenomeni entropici quali la proliferazione della criminalita urbana, la miopia delle forze dell’ordine, l’ipocrisia dei mezzi di informazione e la diffidenza paranoica della “gente comune”.
"Tre volte perdente"
In un simile contesto, il libero arbitrio de facto non esiste. Un destino beffardo si accanisce contro Eddie, “tre volte perdente”, per usare le parole del direttore del carcere (nonché titolo del soggetto originale degli sceneggiatori Graham Baker e Gene Towne). Il critico Lotte Eisner (1986, 177) riassume così la traiettoria narrativa di You Only Live Once: “L’uomo è vittima del fato. La sua compagna non può fermare l’inesorabile destino dell’amante. Il suo coinvolgimento peggiora la situazione ed è destinata a perire con lui”. Sistematicamente perseguitato e mai perdonato per gli errori commessi in passato, Eddie è l’archetipo dell’agnello sacrificale. Gli è negata la possibilità stessa della redenzione: “Sarai sempre uno di noi”, dice il compagno di cella ad Eddie al suo rilascio, un'affermazione che suona come una maledizione. Del resto, a chi gli domanda se sia pronto a re-integrarsi dopo il lungo isolamento, lo stesso Eddie risponde con un sibillino “Se me lo consentiranno”, una battuta profetica, che prefigura l’imminente debacle: il soggetto finirà sbriciolato dalla forza spietata e dirompente dell’ananke tipica della tragedia greca.
"Sarei sempre uno di noi"
Nell’America degli anni Trenta – così simile a quella contemporanea – conta solo l’apparenza: frutto di impressioni superficiali, i giudizi dell’uomo della strada (la doxa) assumono valenza normativa e definitiva, legislativa e esecutiva. I media e la pulp fiction contribuiscono ad accentuare il clima da caccia alle streghe. Due esempi. Eddie viene riconosciuto dal gestore dell’idilliaco hotel Valley Tavern – primo, e unico, stop della frugale luna di miele dei novelli sposi – per via della sua passione per le detective stories turpi e violente. “Sono sicuro di aver visto quel volto prima,” dichiara alla moglie che minaccia di gettare le sue riviste nel cestino. “Ho il diritto di essere sospettoso!” ribadisce l’uomo prima di mettersi a caccia della fotografia incriminante, immagine che verrà puntualmente identificata su un fascicolo di “True Detective Stories”. A quel punto, la coppia viene esplicitamente invitata a sgombrare. “Gli ex galeotti e le loro mogli non sono benvenuti”, dichiara la consorte del proprietario con le braccia conserte e un sorriso fasullo. Il secondo esempio – di particolare importanza ai fini narrativi – riguarda il ruolo sociale svolto dai mass media. Con lucido realismo, Lang ci ricorda che il vero obiettivo dei giornalisti non è tanto informare, quanto plasmare l’opinione pubblica. Nella parabola del regista austriaco, Eddie diventa la valvola di sfogo una società frustrata: gli addetti all’informazione – tanto i veterani quanto le reclute – si crogiolano nell’immaginare il possibile verdetto dopo l’arresto di Eddie, pre–mediando ogni possibile scenario, per usare un termine caro allo studioso Richard Grusin (2010).
"Pulp Fiction"
Dopo essere stato scacciato malamente dal bed & breakfast, Eddie viene licenziato in tronco dal suo nuovo datore di lavoro, il manager del corriere Ajax Express, perché colpevole di aver accumulato un ritardo di un’ora e trentacinque minuti su una consegna. Ritrovatosi improvvisamente senza lavoro e con il deposito della nuova casa da pagare, il nostro finisce rapidamente stritolato dai debiti. A nessuno viene concessa una seconda possibilità, tanto meno ad Eddie: la società condanna perentoriamente i peccatori. Meglio ancora, lo sterminio degli innocenti da parte dei carnefici viene definito ex ante. Illuminanti, a questo proposito, il sarcasmo del cuoco della prigione: “Viviamo in un mondo perfetto”. In un dialogo con un secondino, il cuoco illustra le regole di funzionamento, solo in apparenza paradossali, della Società: “Alleviamo i polli con l’unico obiettivo di sgozzarli e cucinarli, quindi li serviamo ai prigionieri del carcere. Infine, giustiziamo i criminali”. L’analogia, un apparente sillogismo, presenta una trasparenza cristallina: i criminali, come i polli, sono vittime prescelte. Il carcere come strategia redentiva è una pura illusione. È, piuttosto, una sala d’attesa senza vie d’uscita. Detto altrimenti, esiste una categoria di esseri umani che assolvono una precisa funzione sociale: sono carne da macello, caprio espiatorio. È l’ordine immutabile delle cose, il “destino manifesto”, per così dire.
Il parallelismo tra natura e cultura svolge un ruolo centrale in You Only Live Once. L’esistenza stessa di Eddie è stata segnata da un episodio solo in apparenza banale. Durante il loro viaggio di nozze, l'uomo rivela a Joan la ragione dei suoi primissimi guai con la legge. Disgustato dal comportamento sadico di un amico che si dilettava a torturare le rane, l’allora sedicenne Eddie interviene per fermarlo. Il confronto degenera in una rissa e il nostro viene punito e spedito in riformatorio. Il gesto nobile di Eddie – la difesa di animali indifesi – ha pesanti e inaspettate ripercussioni. Il messaggio è chiaro: nel momento stesso in cui un individuo mette in discussione le leggi “naturali”, la società interviene per punirlo. Ossia: i i deboli sono usati e abusati dai forti. Solo un ingenuo può illudersi di poter cambiare la situazione.
"Licenziato in tronco!"
Alla realizzazione che la società non ha la minima intenzione di accoglierlo, Eddie reagisce ribellandosi e scegliendo la via dell’illegalità. Laddove Joan mantiene fino alla fine (o quasi) una fede incrollabile nel sogno americano, Eddie, pragmaticamente, applica la legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente. Una scelta forzata, disperata. La Società ha tuttavia predisposto tutta una serie di meccanismi di controllo e repressione – tra i tanti, lucrose ricompense in denaro per gli informatori della polizia – che assicurano la persistenza dello status quo, mantenendo una moralità di facciata. La morte violenta dell’ unica figura “positiva” in una storia caratterizzata da un lucido pessimismo sulla natura umana – Padre Dolan (William Gargan), ucciso da Eddie durante la nebbiosa fuga dal carcere – fa da preludio alla morte dei due, braccati dalle forze dell’ordine.
L'assassinio di Padre Nolan (a sinistra)
In conclusione, You Only Live Once è la storia del fallimento esistenziale di Eddie. Una parabola di implosione nella quale la vittima prescelta – “Vi divertite a vedere un uomo innocente morire,” strilla il nostro alla folla inferocita prima di venir condotto in carcere – non può che diventare carnefice. Una trasformazione che è al tempo stesso inevitabile – perché causata da forze che trascendono l’individuo – e inutile – in quanto il singolo non può modificare il suo destino.
Freddato da un cecchino con un colpo di fucile alle spalle mentre trasporta la morente Joan, il viaggio fisico e metafisico di Eddie si conclude con un’allucinazione: una voce narrante annuncia che “i cancelli sono finalmente aperti” mentre la macchina da presa mostra un raggio di sole che illumina la foresta. Una simile conclusione, fiabesca, de facto ratifica il messaggio cristiano secondo il quale l’emancipazione e la salvezza sono prerogative dell’aldilà e non possono essere conseguite durante la vita terrena. L’affermazione di Padre Dolan per cui l’innocenza dell’infante finisce per essere corrotta dal mondano [ii]) sembra confermare che l’intrinseca negatività del materiale può essere riscattata solo in un’altra dimensione. Come in quella altrettanto favolistica e virtuale della celluloide.
Narrazione e stile
Al pari del predecessore Fury, You Only Live Once si articola in due momenti distinti, segnati dal passaggio dall’illusione della redenzione e dell’integrazione sociale all’ammissione del fallimento, che a sua volta fa da preludio alla tragedia. Permeato dallo stile espressionistico reso celebre da Lang – evidente, per esempio, nella scena in cui Eddie attende la sua esecuzione in cella, la presenza costante della nebbia e delle ombre – You Only Live Once fa sfoggio di numerose convenzioni estetiche e narrative del genere noir. Di particolare interesse sono due elementi iconografici che ricorrono ossessivamente. Il primo è il telefono, lo strumento che simultaneamente avvicina e allontana i due amanti. Non solo: quasi tutti i dialoghi chiave del film si svolgono al telefono: Eddie viene licenziato in tronco mentre si trova in una cabina a fianco della stazione di benzina e quando supplica il suo datore di lavoro di riassumerlo, il nostro lo ignora perché impegnato in una conversazione telefonica. Altre telefonate clou riguardano l’annuncio del verdetto di colpevolezza e il riconoscimento di Joan da parte del gestore della stazione di benzina (vedi box “Il fumo uccide”).
Un’anticipazione dell’orrore bellico
Sorprende, anche per l’occhio dello spettatore del ventunesimo secolo, la violenza viscerale messa in scena da Lang, violenza che raggiunge una bruciante intensità in alcuni momenti topici, come l’omicidio, del tutto gratuito, di Padre Nolan per mano di Joan. È noto che Lang è stato costretto a tagliare circa quindici minuti del girato per ridimensionare l’eccessiva brutalità. You Only Live Once trasferisce in un contesto urbano l’inumana devastazione che avrebbe caratterizzato, di lì a poco, l’Europa. Nell’opera di Lang, le strade delle città americane sono veri e propri cambi di battaglia: nella scena della rapina al camion dei valori, il criminale dal volto mascherato si serve di mitragliatrici, bombe a mano e gas lacrimogeno per depredare il veicolo. L’operazione di guerriglia urbana si conclude con un tragico bilancio: sei morti e numerosi feriti.
Il fumo uccide
Nella parte finale del film, Eddie e Joan sono in fuga verso il Messico. La coppia si ferma a una stazione di benzina per acquistare delle sigarette da una macchinetta automatica. Joan viene riconosciuta dal gestore, che contatta telefonicamente le forze dell’ordine. Fritz Lang avrebbe voluto usare il marchio “Lucky Strike” in questa scena per scopi ironici (l’espressione inglese è traducibile letteralmente come “Colpo fortunato”) e ribadire la natura beffarda del fato. Il producer Wenger, tuttavia, ha negato a Lang la possibilità di usare il marchio in questione, perché il “product placement” non era allora legalmente consentito (Eisner, 1986: 177). Una decisione doppiamente ironica considerato che la presenza del tabacco – sigarette e pipe – è pervasiva nel film di Lang.
“Un tipo impossibile, disonesto”
Le parole sono di Walter Wanger, celebre producer hollywoodiano che ha cominciato la sua carriera con Paramount Pictures negli anni Venti e ha prodotto You Only Live Once per United Artists. Nell’imprescindibile Hollywood: Formal-Aesthetic Dimensions: Authorship, Genre and Stardom, Thomas Schatz (2004) ci ricorda che agli albori della sua carriera statunitense, Fritz Lang non era particolarmente amato a Hollywood. “Dopo una partenza lenta con MGM, [Lang] saltellava di studio in studio negli anni Trenta [in cerca di lavoro]. Wanger lo aveva definito “un tipo imposibile , disonesto” quando lo aveva assunto per dirigere You Only Live Once nel 1936. Quest’affermazione molto probabilmente è riconducibile agli eccessi in fase di produzione di Lang, confermati da altri talenti (Henry Fonda ha dichiarato una volta che il regista ha impiegato un intero giorno per girare la scena in cui Fonda e Sylvia Sidney mangiano un gelato e Leon Shamroy [fotografo] ha definito l’approccio di Lang sul set come ‘incredibilmente meticoloso’) (p. 33). In compenso, la critica statunitense ha accolto You Only Live Once, distribuito in sala nel gennaio 1937, con grande entusiasmo: “I critici di Time e Newsweek hanno giudicato You Only Live Once come il miglior film sul crimine dai tempi di Public Enemy, la celebre pellicola di William Wellman del 1931 interpretata da James Cagney” (Robert A. Armour, 177: 111) e definendolo un degno successore di Fury.
Gallery
Riferimenti bibliografici
Armour, A. Robert (1997) Fritz Lang, Ann Arbor: University of Michigan Press.
Eisner, Lotte J. (1986) Fritz Lang, Cambridge, Massachusetts: Da Capo Press.
Gibbs, John, Pye Douglas (2005), Style and meaning: Studies in the Detailed Analysis of Film,
Manchester: Manchester University Press, pp. 22-27.
Grusin, Richard (2010) Premediation. Affect and Mediality After 9/11, New York:
Palgrave/McMillian.
Gunning, Tom (2000) The Films of Fritz Lang. Allegories of Vision and Modernity, London:
British Film Institute.
Schatz, Thomas (2004) Hollywood: Formal-Aesthetic Dimensions: Authorship, Genre and
Stardom, New York: Taylor & Francis.
[i] Se si eccettua il peculiare uso dell'off-screen in alcune scene particolarmente pregnanti. A questo proposito, cfr. John Gibbs, Douglas Pye, 2005: 22-27.
[ii] Le parole esatte del sacerdote sono “Every man - at his birth - is endowed with the nobility of a king. But the stain of the world soon makes him forget even his birthright”.