Generation G. Il gamer come soggetto politico
Matteo Bittanti
Università IULM
9 dicembre 2022
TRASCRIZIONE
Buongiorno a tutti, il mio nome è Matteo Bittanti e sono Professore Associato in Media Studies all’Università IULM di Milano. In questa breve presentazione vorrei portare alla vostra attenzione alcuni aspetti della relazione tra politica e videogiochi, oggetto dei due volumi Game Over. Critica della ragione videoludica e Reset. Politica e videogiochi, pubblicati da Mimesis Edizioni.
Per cominciare, vorrei mostrare due immagini.
La prima è stata pubblicata su Twitter il 28 novembre 2022 da Elon Musk.
Per sua stessa ammissione, Elon Musk tiene sul comodino una replica della pistola tratta dal videogioco Deus Ex: Human Revolution, accanto a quattro lattine di Diet Coke scolate, dorate e senza caffeina, una pistola d’epoca in una scatola di legno che mostra un’illustrazione di Washington mentre attraversa il Delaware. Il miliardario americano che detesta Bernie Sanders ed è ossessionato dalle cronache marziane è un gamer. Già nel 2020 aveva modificato l'immagine del suo profilo Twitter con la copertina di Deus Ex che mostra l’agente segreto superumano JC Denton. La pistola di plastica Diamond Back .357 ostentata nel tweet aveva debuttato in Human Revolution nel 2011. In quell’occasione, il protagonista Adam Jensen aveva tentato, con scarso successo, di usarla contro il supersoldato Jason Namir. Infine, per chi non lo sapesse, Musk ha cominciato la sua carriera come game designer.
La seconda immagine risale al 6 gennaio 2021 ed è stata scattata a Washington D.C., da un fotografo dell’Associated Press.
Notate l’individuo barbuto accanto al cosiddetto sciamano, con le corna e il volto dipinto? L'uomo indossa una felpa a maniche lunghe che rivela le mani e parte dei polsi. Il dorso di una delle due estremitài è decorata con un particolare tatuaggio: a sinistra spicca un simbolo, che la stampa mainstream ha erronemaente confuso con l’icona della lotta antifascista o per una falce e martello stilizzata. Si tratta, in realtà, del “marchio dello Straniero” del personaggio Corvo Attano tratto dal videogioco Dishonored. Pubblicato nel 2012 per PlayStation 3 e successivamente riproposto per PlayStation 4, il gioco è caratterizzato da una trama di vendetta e cospirazione. Nello specifico, Attano è aiutato da una forza oscura chiamata “Lo Straniero” nel tenttivo di sconfiggere un complottista che lo ha ingiustamente accusato di una serie di crimini, tra cui l’omicidio. Il successo di Dishonored è parte riconducibile a una narrazione incentrata sull’idea che un uomo onesto possa smascherare il “Deep state”, smontandolo pezzo per pezzo attraverso una crociata personale e insieme collettiva. Quel giorno, il 6 gennaio 2021, l’uomo barbuto e tatuato, insieme allo Sciamano e centinaia di altri rivoltosi hanno fatto parte del gruppo che, incoraggiato da Donald Trump, ha compiuto atti di vandalismo nel Campidoglio, causando la morte di cinque persone e interrompendo la sessione parlamentare incaricata di ufficializzare l’elezione di Joe Biden come nuovo presidente. Il tentativo di insurrezione violenta è stata trasmessa in diretta dalla piattaforma di streaming DLive, usata principalmente per i videogiochi e le discussioni su argomenti a tema, ma all’epoca molto frequentata dai membri dell’Alt-Right, se non altro perché erano stati banditi da YouTube e Twitch. Il leader neonazista statunitense Patrick Casey era uno degli utenti di DLive che celebravano la mobilitazione, guidata da fanatici di QAnon e altri gruppi pro-Trump, tra cui membri delle milizie, suprematisti bianchi e anon che avevano contribuito a organizzare le campagne Gamergate e Pizzagate qualche anno prima, dando vita a una forma di ludicizzazione della politica. In breve, l’uomo barbuto e tatuato è un gamer.
Perché il fatto che Musk e l’uomo tatuato siano dei gamer è significativo?
Come abbiamo spiegato in Game Over e Reset, la fine della controcultura nell’era digitale è stata accompagnata dall’affermazione del nichilismo (nota 1) come valore - o meglio, non valore - dominante all’interno delle sottoculture gamer, formate da soggetti che utilizzano il videogioco come strumento per identitario. In questo senso, un gamer non è semplicemente un individuo che videogioca, bensì una forma specifica di soggettivazione egemonica alla quale è associato uno peculiare immaginario, una gamma di pratiche, valori, gerarchie e strategie di demarcazione.
Ciò che accomuna i soggetti che si identificano come gamer (nota 2) è l’abitudine di rinunciare alla realtà per cimentarsi con fantasie di (onni)potenza squisitamente schermiche ovvero virtuali. La possibilità di dare vita a imprese “eroiche” nei mondi di simulazione - che trova un perfetto complemento in forme comunicative ludicizzate iper-competitive e distruttive - è rimasta a lungo confinata ai margini o nei bassifondi della rete ed è stata oggetto di scherno da parte del mainstream. Ma in tempi più recenti, questa espressione di agentività simulata è stata abilmente politicizzata e mobilitata dall’estrema destra. Attorno alla metà degli anni Dieci del ventunesimo secolo, specie negli Stati Uniti, il fenomeno è diventato evidente. Una comunità dispersa nel contesto di una cultura massicciamente mercificata e al tempo stesso incapace di offrire reali possibilità di autorealizzazione a soggetti marginalizzati in seguito alla devastazione prodotta dalla crisi economica del 2007-2008 e, in modo crescente, da una catastrofe ambientale i cui effetti sono diventati manifesti e irreversibili, ha sperimentato un fenomeno di convergenza ideologica che ha dato vita a una serie di “campagne” online (per es., Gamergate, Pizzagate, QAnon) e successivamente IRL (sotto forma di proteste, manifestazioni, attacchi a luoghi e persone fisiche). Gamergate, in particolare, era stato codificato come il tentativo di difendere l’identità o soggettività gamer contro i presunti invasori: gay, lesbiche, persone di colore, transgender. Decine di migliaia di giovani utenti e giocatori scontenti - per lo più “uomini cisgender, eterosessuali e bianchi”, secondo gli autori di Game Over - si sono scatenati contro soggetti definiti dispregiativamente “guerrieri della giustizia sociale”, quel segmento dell’utenza che ha messo in discussione lo status quo e la mascolinità geek. Come ha scritto Matt Alt,
l'isteria associata a Gamergate non aveva tanto a che fare con i videogiochi quanto alla presenza sempre più vocale delle donne nella sfera del nerdismo, un tempo dominata dagli uomini. [...] Era lecito ipotizzare che un gruppo di ragazzi nerd avrebbe visto con entusiasmo l’afflusso di ragazze nerd. Se invece siete il tipo che inquadra la propria solitudine come un rifiuto della società, le donne rappresentano una forma di competizione che mette a repentaglio l’egemonia del mascho. O, peggio, le donne sono viste come usurpatrici dell'ultimo ruolo in cui un maschio fragile poteva davvero sentirsi dominante: quello del super-consumatore di cultura pop, che si trattasse di giochi o film o cartoni animati o fumetti. Questo era il ruolo che il fandom aveva assunto nell’identità personale di un enorme numero di giovani americani che si consideravano diseredati.
L’idea geniale di Steve Bannon è stata di convogliare la furia misogina e il risentimento persistente dei gamer verso l’Alt-Right, sfruttando l’esuberanza del troll Milo Yiannopoulos per istigare le masse: è lui che ha “attivato quell’esercito”, per riprendere la metafora bellica dello stratega di Trump, descrivendo i bulli di Gamergate come vittime di un complotto ed elevando gli otaku a crociati anti-femministi. L’iniziativa è stata coronata dal successo: Gamergate è diventato un modello ripetibile e il resto, come si dice in questi casi, è Storia.
Il videogioco, un contesto tecno-culturale a lungo erroneamente considerato depoliticizzato o apolitico, si è rivelato un terreno fertile per deliri di onnipotenza tradizionalmente associati a ideologie come il fascismo o il libertarismo, come del resto attesta l’integralismo del fanboy, sempre pronto a battersi per “difendere” un prodotto o una personalità da considerazioni percepite come critiche. Il fandom è un culto moderno, una forma di idolatria dominato da figure messianiche modellate sulle fantasie di Ayn Rand, dall’influencer gamer PewDiePie all’edgelord gamer Elon Musk. In questo senso, il fanboy è, innanzitutto, un fananatico, un invasato, un soggetto intollerante nei confronti di ogni altra opinione o posizione, mosso da un entusiasmo esagerato, morboso e patologico nei confronti di una determinata persona o prodotto. Inizialmente raggruppati su 4chan e nei forum dedicati, i gamer hanno progressivamente sviluppato se non una coscienza di classe, quantomeno una specifica connotazione identitaria associata a un set di pratiche che ha trovato nella manipolazione di simulacri sullo schermo per mezzo di specifiche interfacce - joypad, joystick, tastiere, visori di realtà virtuale etc. - una parvenza di auto-realizzazione. Come spiega Dale Beran in It Came From Something Awful,
4chan era popolato da un gruppo di individui declassati, così distanti dalla società e così completamente privi di identità da iniziare a esserne ossessionati. Si sono aggrappati alla nozione di razza come strumento di autodefinizione. Questi nuovi movimenti fascisti sono emersi, come i loro precedenti storici, a partire da individui decontestualizzati e marginalizzati per via di una situazione economica instabile e precaria. Degradati e superflui, convinti che la vita non fosse altro che una crudele lotta per il potere (perché la perdevano continuamente), hanno creato un nuovo contesto a partire da assurde fantasie di potere di stampo medievale. Attorno al 2014, la maggior parte degli otaku di 4chan, vecchi e nuovi, si era convertiti a questa ideologia.
Questo sciame geograficamente disperso ma culturalmente omogeneo e accomunato da ossessioni condivise - in primis, quella per i videogiochi - ha applicato le medesime ludologiche per combattere battaglie culturali in rete e organizzare guerriglia per le strade. Queste attività hanno conferito a orde di nanashi e anon, beta e robot, studenti a tempo perso, disoccupati cronici e soggetti incastrati in lavori freelance occasionali in condizioni precarie oppure intrappolati in bullshit jobs privi di valore, delle gratificazioni non squisitamente economiche. Il disimpegno ludico di una generazione risentita e disillusa si è tramutato paradossalmente in un attivismo politico ben lontano dall’arrivismo capitalistico dei normies integrati nel sistema, nonché dalle tradizionali attività politiche in un contesto segnato dalla post-politica e, in modo crescente, dall’anti-politica (nota 3). Ha cioè conferito un senso e una forma di appartenenza, di inclusione, a una compagine tradizionalmente esclusa dai processi sociali e culturali. In questo senso, il gamer non è più un semplice otaku e, tanto meno, un hikikomori, un recluso e un misantropo.
L’atomizzazione, la mercificazione e l’alienazione che contraddistingue le società postmoderne sono parzialmente anestetizzate dall’illusione della simulazione, che conferisce “grandi poteri e grandi responsabilità” del tutto illusori in spazi illusori a soggetti marginalizzati, impotenti in un contesto sempre più compromesso, letteralmente e figurativamente. Il videogioco svolge pertanto una funzione essenzialmente compensativa e consolatoria, tanto per l’ego del soggetto quanto per l’ambiente degradato, che sullo schermo è upgradato e rimpiazzato dalla sua replica virtuale: nei paesaggi dei videogame non troviamo quintali di rifiuti abbandonati come invece accade nelle campagne della Lombardia, autentiche discariche a cielo aperto. I cieli sono azzurri e cristallini mentre l’aria di Milano è perennemente tossica, di giorno, di notte. I boschi non sono frequentati da spacciatori di droga, i muri non sono coperti da graffiti e il consumo di suolo non procede inesorabile per soddisfare gli interessi degli speculatori edilizi. In breve, man mano che la realtà concreta si corrompe fino a implodere di fronte ai nostri occhi, le seduzioni del metaverso si fanno sempre più appetibili per quella fetta significativa della popolazione che ha smesso di credere nella possibilità stessa del futuro, per dirla con Mark Fisher. La console è, dunque, una consolazione. La generazione nata sul finire degli anni Novanta, aggiunge Beran,
Ha ereditato un mondo che si sta avviando verso il disastro ecologico, economico e politico e che sta affogando nei detriti della cultura dell’intrattenimento che affiorano dal passato nella fogna di internet, proiettando tutto nell’inquietante bagliore dello schermo dell’irrealtà di Baudrillard.
Aggiunge lo scrittore americano:
La mia generazione si è immersa in qualcosa di nuovo, un’ondata di mondi fantastici elaborati, ognuno leggermente più realistico del precedente, man mano che gli universi schermici si moltiplicavano. Molti di questi mondi erano bellissimi, riflessi genuini della complessità della natura umana. Presentavano cioè alcune caratteristiche dell’arte ed erano dunque eredi del rivoluzionario movimento romantico che scandaglia le profondità irreali dell'individualità con storie di cose che non erano mai state, che esistevano solo nei cuori, storie di castelli tra le nuvole, principi e principesse, miti e dei.
In altre parole, la generazione gamer, non è tanto interessata a costruire nuovi mondi quanto rifugiarsi in quelli fittizi dove può crogiolarsi con favole interattive che lo vedono sempre vincitore. Questa fuga nella simulazione è confermata dall’ossessione per le tecnologie della distrazione, dallo smartphone-tamagotchi che va costantemente accudito, accarezzato, ascoltato, coccolato. La funzione primaria delle tecnologie ludiche è dunque rimuovere il soggetto da un presente deprimente per trasportarlo temporaneamente in un non-luogo fatto di infinite possibilità, nel quale il soggetto non è passivo - una vittima - bensì attivo - un eroe. Il videogioco, con i suoi mondi persistenti, “aperti”, ricchi di “sorprese”, è particolarmente efficace nel catturare soggetti che hanno perso ogni interesse nel modificare la situazione contingente grazie alla loro promessa di agentività virtuale e parasocialità. All’apatia del vissuto si sostituisce il febbrile dinamismo del virtuale. In questo senso, gli schermi agiscono come meccanismi di controllo per mantenere lo status quo, mentre i mondi digitali e la cosiddetta intelligenza artificiale minano sistematicamente il senso di realtà. Come afferma Beran, questa condizione oggi accomuna pressoché tutti: “La maggior parte degli otaku erano dei nerd perdenti che si danneggiavano da soli rifugiandosi nei loro schermi. E oggi, in un certo senso, siamo tutti otaku, che si ritirano parzialmente durante la giornata in vari schermi e fantasie di evasione”.
Una parte degli otaku sono diventati gamer anche fuori dagli schermi. Il verdetto della giornalista videoludica Leigh Alexander che nell’agosto 2014 aveva dichiarato “finiti” i gamer sulle pagine di “Game Developer” si è dimostrato straordinariamente errato. A circa una decade di distanza, questa sottocultura non solo è viva e vegeta, ma è diventata una forza politica intenzionata a ludicizzare la realtà. Per esempio, il 6 gennaio 2021, quella “strana avanguardia fatta di adolescenti patiti di videogiochi, anonimi appassionati di anime giapponesi che amavano pubblicare svastiche sul web, conservatori fan di South Park, burloni antifemministi, molestatori nerd e troll creatori di meme dotati di umorismo nero e amanti della trasgressione fine a sé stessa” come li ha definiti Angela Nagle nel magistrale Contro la vostra realtà – insieme a militanti di estrema destra, complottisti e seguaci di QAnon aizzati da politici, pierre e “giornalisti” – ha preso d’assalto il Campidoglio della capitale americana. Nel frattempo, in Giappone, “i politici corteggiano abitualmente il voto dei residenti di Akihabara leggendo manga e facendo campagna elettorale indossando i costumi dei personaggi degli anime”, come scrive Matt Alt. Oggi, la politica è soprattutto cosplay.
La Generazione Gamer - cresciuta di fronte allo schermo in ambienti segnati dal più sfrenato darwinismo sociale combattendo contro terroristi arabi e draghi sputafuoco, zombie e vampiri nonché social justice warrior sui social media - ha temporaneamente lasciato la cameretta illuminata al LED per sconfessare il risultato delle elezioni. Ha organizzato sparatorie di massa in live stream. Ha minacciato i politici nelle loro case.
Il gioco, questo gioco, è appena cominciato.
Matteo Bittanti
Note
1. Cfr. M. Gurri, The Revolt of the Public and the Crisis of Authority, Stripe Press, San Francisco, 2018.
2. Per ulteriori informazioni sulla cultura gamer, specie nella sua declinazione normativa in chiave maschile, adolescenziale ed eterosessuale, cfr. S. Kiesler, L. Sproull, J.S. Eccles, 1985; S. Graner Ray, 2004; G. Kirkpatrick, 2012; Kocurek, 2015; Newman, 2017.
3. Cfr. A. Hochuli, G. Hoare, P. Cunliffe, The End of the End of History: Politics in the Twenty-First Century, Zero Books, Winchester, United Kingdom 2021.
Riferimenti bibliografici
Alexander, L. ‘Gamers’ don’t have to be your audience. ‘Gamers’ are over, in “Game Developer”, 28 agosto 2014. URL
Alt M., Pure Invention. How Japan Made the Modern World, Crown/Penguin, New York 2021.
Beran D., It Came From Something Awful, All Points Books/MacMillian, 2018 New York.
Bittanti M. (a cura di), Reset. Politica e videogiochi, Mimesis Edizioni, Milano 2023.
Bittanti M. (a cura di), Game Over. Critica della ragione videoludica, Mimesis Edizioni, Milano 2020.
Fisher M., Spettri della mia vita. Scritti su depressione, hauntologia e futuri perduti, minimum fax, Roma 2019.
Graeber D., Bullshit jobs, Garzanti, Milano 2018.
Graner Ray, Gender inclusive game design: Expanding the market. Charles River Media, Needham Heights, Massachusetts 2004.
Gurri M., The Revolt of the Public and the Crisis of Authority, Stripe Press, San Francisco 2018.
Hochuli A., Hoare G., Cunliffe P., The End of the End of History: Politics in the Twenty-First Century, Zero Books, Winchester, United Kingdom 2021 (idem, La fine della fine della storia. La politica nel ventunesimo secolo, Tlon, Roma 2022)
Kiesler S., Sproull L., Eccles J.S., Pool Halls, Chips, and War Games: Women in the Culture of Computing, in “Psychology of Women Quarterly”, vol. 9, n. 4, 1985, pp. 451-462. URL
Kirkpatrick G., Constitutive tensions of gaming’s field: UK gaming magazines and the formation of gaming culture 1981-1995, in “Game Studies”, vol. 12, n. 1, 2012. URL
Kocurek C.A., Coin-operated Americans: Rebooting Boyhood at the Video Game Arcade. University of Minnesota Press, Minneapolis 2015.
Nagle A., Contro la vostra realtà. Come l'estremismo del web è diventato mainstream, Luiss University Press, Roma 2018.
Newman M.Z., Atari Age: The Emergence of Video Games in America. MIT Press, Boston, Massachusetts 2017.
Ludografia
Deus Ex: Human Revolution, Eidos-Montréal/Square Enix, 2011
Dishonored, Arkane Studios/Bethesda Softworks, 2012
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