MATTEO BITTANTI

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A lezione di Pokémon Go

A lezione di Pokémon Go

Da A(lfie Bown) a (Shoshana) Z(uboff)

Matteo Bittanti

Università IULM

18 novembre 2022

online lecture

 

TRASCRIZIONE

 

Buongiorno a tutti,

Il mio nome è Matteo Bittanti e sono Professore Associato in Media Studies all’Università IULM di Milano. In questa breve presentazione vorrei portare alla vostra attenzione due letture critiche di Pokémon Go, il videogioco sviluppato da Niantic Labs considerato una pietra miliare nel settore della realtà aumentata nonché uno dei più grandi successi di Nintendo degli ultimi anni.

Sin dalla sua introduzione nell’estate del 2016, il gioco ha riscosso un enorme successo commerciale, ma nelle recensioni della stampa specializzata sono state completamente omesse e ignorate, sottovalutate e/o travisate le importanti implicazioni legate alla privacy e al trattamento dei dati personali di questo prodotto, le quali, a loro volta, rivelano le logiche sottese al modus operandi di Big Tech.

In questa sede, vorrei riassumere le analisi formulate da Shoshana Zuboff e Alfie Bown in due libri pubblicati in Italia da Luiss University Press, intitolati rispettivamente Il capitalismo della sorveglianza e Il sogno videoludico.  

Partiamo da Il capitalismo della sorveglianza .

La tesi fondamentale del seminale testo della Zuboff, studiosa di media e tecnologia dell'Università di Harvard, è che nell’era attuale, caratterizzata da una forma di capitalismo algoritmico che definisce “capitalismo della sorveglianza”, l’esperienza umana nelle sue più complesse espressioni è ridotta a materia prima da trasformare in dati comportamentali che possono essere usati per influenzare comportamenti, scelte e decisioni. In questo senso, secondo Zuboff, oggi i processi automatizzati “non solo conoscono i nostri comportamenti, ma li formano. Il focus passa dalla conoscenza al potere, e non basta più automatizzare le informazioni che ci riguardano; il nuovo obiettivo è automatizzarci.” (enfasi aggiunta)

L’automazione dei comportamenti - una delle forme più sofisticate di ingegneria sociale - è stata concepita, introdotta e sviluppata da Google a partire dai primi anni del ventunesimo secolo e successivamente applicata in modo sistematico dalle aziende di Big Tech, fino a diventare un vero e proprio standard. Come spiega Zuboff, questa ideologia strumentalizzante esercita il “proprio potere tramite l’automazione e un’architettura computazionale sempre più presente, fatta di dispositivi, oggetti e spazi smart interconnessi”, con l’obiettivo di indirizzare i comportamenti umani verso nuovi fini e scopi definiti a monte dalle aziende. 

Secondo Zuboff, la crescita e la diffusione di questi sistemi nonché la loro efficacia strumentalizzante hanno travolto già flebili resistenze da parte dei consumatori e hanno de facto colonizzato ogni aspetto dell’esistenza umana. Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso dell’indottrinamento dei giocatori di Pokémon Go, descritto in modo dettagliato nel capitolo 10 de Il Capitalismo della sorveglianza, intitolato, “Falli ballare”. 

“Falli ballare” si apre con la descrizione delle cosiddette “economie dell’azione”, ovvero i meccanismi sottesi alle app prodotte dalle Silicon Valley, il cui obiettivo primario consiste nel “modificare le azioni in tempo reale nel mondo reale” degli individui. Secondo la Zuboff, “Questa fase rappresenta il completamento di nuovi mezzi di modifica del comportamento, un’evoluzione fondamentale e necessaria dei “mezzi di produzione” del capitalismo della sorveglianza diretta a un sistema operativo più complesso, forte e presente.”

Zuboff descrive tre meccanismi sottesi alle “economie d’azione”: due modalità di tuning - termine traducibile come messa a punto, regolazione - e herding - ovvero raduno e ammasso.  

Questi meccanismi sono spesso usati in combinazione tra di loro per ottenere i risultati più efficaci. Il tuning può usare “indizi subliminali per dare forma impercettibilmente a un flusso di comportamenti in un momento e in un posto preciso ed esercitare la massima influenza”. Un  altro esempio “riguarda quello che gli economisti comportamentisti Richard Thaler e Cass Sunstein chiamano nudge, ‘gomitata’, e che definiscono come “ogni aspetto dell’architettura di una scelta che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile”. Per Zuboff, “I capitalisti della sorveglianza hanno adottato molte delle discutibili asserzioni degli economisti comportamentisti” per avvantaggiare unicamente gli architetti anziché gli utilizzatori delle tecnologie.

In aggiunta al tuning, “l’herding consente di orchestrare a distanza la vita umana, eliminando le azioni alternative e pertanto spostando il comportamento su un percorso contraddistinto da probabilità maggiori, prossime alla certezza.” Per illustrare le implicazioni di questa particolare forma di ingegneria comportamentale per mezzo dei dispositivi tecnologici e delle loro applicazioni, Zuboff descrive due episodi che riguardano Facebook e Pokémon Go. In questa sede, vorrei soffermarmi sul secondo.

Zuboff ci ricorda che l’azienda che ha sviluppato Pokémon Go, Niantic Labs, è stata creata da John Hanke, già ideatore di Keyhole, la “start-up di mappatura satellitare fondata dalla CIA in seguito acquisita da Google e ribattezzata Google Earth”. Pokémon Go è stato sviluppato a partire da Google Maps, che ha anche fornito gran parte del team di sviluppo del gioco. 

Come scrive Zuboff,

“Nel 2010, Hanke aveva allestito la propria rampa di lancio, Niantic Labs, all’interno della nave madre Google. “Il suo scopo era sviluppare giochi in “realtà parallele” capaci di tracciare e dirigere le persone in quegli stessi territori sfacciatamente requisiti da Street View per le proprie mappe. Nel 2015, dopo l’insediamento della struttura aziendale di Alphabet, e ben dopo lo sviluppo di Pokémon Go, Niantic Labs venne formalmente varata come azienda indipendente, con un finanziamento di 30 milioni di dollari ricevuto da Google, Nintendo (l’azienda giapponese che aveva inizialmente ospitato i Pokémon sul suo GameBoy a fine anni Novanta”) e da Pokémon Company”.  

La scelta del videogioco non è casuale: la natura apparentemente disimpegnata di questa applicazione, infatti, rappresenta lo strumento ideale per produrre un’economia d’azione. In primo luogo, da sempre il videogioco rappresenta un vero e proprio cavallo di Troia per diffondere ideologie strumentalizzanti, dal complesso militare-industriale alla mascolinità geek, dal neoliberismo alla ludicizzazione.

In secondo luogo, il videogioco è una delle app più popolari per smartphone e rappresenta dunque un genere di software ideale per reclutare in modo rapido ed efficace una significativa massa d’utenza. Come scrive Zuboff,

“Pokémon Go venne lanciato da Hanke nel luglio del 2016 come possibile risposta al quesito che si ponevano scienziati e ingegneri intenti a dar forma al capitalismo della sorveglianza: come attivare velocemente e in quantità di scala il comportamento umano, indirizzandolo verso guadagni sicuri? Al suo zenit, nell’estate del 2016, Pokémon Go rappresentava la realizzazione del sogno del capitalismo della sorveglianza, fondendo scala, scopo e azione, raccogliendo fonti continue di surplus comportamentale e offrendo dati freschi per mappare spazi interni ed esterni, pubblici e privati.  Cosa ancor più importante, offriva un laboratorio vivente per testare la telestimolazione in scala, con i proprietari del gioco che imparavano a condizionare e indirizzare i comportamenti collettivi, e a dirigerli verso costellazioni di mercati dei comportamenti futuri, il tutto mantenendosi appena al di sotto della soglia della consapevolezza individuale.”  

In altre parole, lungi dall’essere un mero videogioco, Pokémon Go rappresenta uno straordinario esperimento di ingegneria sociale, in grado di assorbire il surplus comportamentale degli individui che utilizzano le app, un insieme di dati che è sottoposto a “un processo di lavorazione avanzato noto come ‘intelligenza artificiale’ per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente, tra poco e tra molto tempo”, come spiega Zuboff nel terzo capitolo del suo libro. 

Ergo, l’economia d’azione immaginata da Niantic/Google doveva necessariamente sfruttare l’escamotage ludico per incontrare resistenze minime da parte dei fruitori e costruire rapidamente una massa critica. Inoltre, il gioco non poteva essere confinato allo schermo, ma colonizzare gli spazi del reale, utilizzando il modello della caccia al tesoro per scovare nel territorio delle creature virtuali note come Pokémon. L’app di Niantic sfrutta il GPS e le videocamere dello smartphone per “catturare” tali creature.

Nello specifico:

“le immagini dei Pokémon appaiono sullo schermo dello smartphone quando vengono posizionate nello spazio che ci circonda nel mondo reale: il cortile di un tizio ignaro, una strada urbana, una pizzeria, un parco, un minimarket. Catturando i Pokémon si ottengono ricompense nella valuta del gioco, caramelle e polvere di stelle, ed è possibile utilizzarli per dare vita a sfide con gli altri utenti. Lo scopo finale è collezionare tutti e centocinquantuno personaggi disponibili”. Man mano che il giocatore accresce il proprio numero di “punti esperienza”, il marcatore che identifica il progresso all’interno del gioco, gli utenti possono accedere a nuove modalità. Per esempio, raggiungendo il quinto livello, i giocatori possono entrare in uno dei tre team per partecipare ai combattimenti di Pokémon in siti specifici chiamati 'palestre'.”

Pokémon Go ha massimizzato i risultati ottenuti da Niantic con il precedente videogioco di realtà aumentata, Ingress, anch’esso pensato per essere giocato nel mondo reale. Introdotto nel 2012, Ingress chiedeva ai giocatori di individuare dei “portali” disseminati negli spazi cittadini e non che avrebbero consentito loro di “conquistare” dei territori. Come Pokémon Go, Ingress è un sofisticato sistema di controllo e sorveglianza che consente ai gestori dell’app di tracciare i movimenti degli utenti e mappare i territori visitati. Come spiega Zuboff, l’aspetto più importante dell’esperimento di Ingress è stata la scoperta da parte del team di Hanke che l’app consentiva di influenzare direttamente il comportamento dei giocatori non solo sullo schermo, ma nel mondo fisico. 

Scrive Zuboff:

“Hanke aveva capito che nelle regole e nelle dinamiche sociali del gioco erano stati piantati i semi della modifica del comportamento: “Se vuoi trasformare il mondo nella tua scacchiera, devi dare determinate caratteristiche ai posti dove vuoi che vadano le persone. […] Devi dare al giocatore un motivo per andarci. […] Il gioco glielo consente e ti spinge ad avere queste interazioni”.

Pokémon Go rappresenta un passo in avanti rispetto al predecessore Ingress perché sfrutta l’enorme popolarità del brand Nintendo per motivare le azioni del giocatore a modificare i propri comportamenti nel mondo reale attraverso l’escamotage del gioco e delle sottese meccaniche, come la raccolta di oggetti e l’accumulo di punti. La ludicizzazione è stata usata con successo in contesti lavorativi per regolare, dirigere e condizionare il comportamento dei propri dipendenti, fidelizzando i clienti attraverso ricompense simboliche o tramite meccanismi di competizione per le vendite tra gli impiegati. Non a caso, lo studioso americano Ian Bogost considera la ludicizzazione una delle più efficaci nonché subdole forme di strumentalizzazione e manipolazione comportamentale. 

Secondo Zuboff, il genio di Hanke consiste nell’aver portato la ludicizzazione a un livello superiore, muovendo i giocatori come se fossero delle pedine nel mondo reale e non solo sullo schermo, modificandone il comportamento, gli obiettivi e gli interessi aldilà della loro consapevolezza. Introdotto nel luglio 2016 negli Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e in Europa, il gioco è stato immediatamente celebrato come rivoluzionario per la capacità di sfruttare la localizzazione per intercettare i pedoni, catturare i giocatori e dunque trasformare un’esperienza ludica in un business. La sponsorizzazione delle location, infatti, è una delle forme di mercificazione di un gioco che, nell’iniziale descrizione di Hanke, non prevedeva alcuna forma di pubblicità. Questa evidente contraddizione, tipica delle strategie di offuscamento della Silicon Valley, applica al mondo concerto la logica dell’advertising delle ricerche su Google, un motore di ricerca appositamente inventato con lo scopo di evitare ogni tipo di commistione con la pubblicità. Secondo Zuboff, tuttavia, questo aspetto puramente economico non è l’obiettivo ultimo di Google. Come spiega la studiosa americana,

“Elementi e dinamiche del gioco, assieme alla sua nuova tecnologia che consente una realtà aumentata, servono a radunare la popolazione dei giocatori nei checkpoint del mondo reale costituiti dai reali clienti del gioco: i soggetti disposti a pagare per sedersi al tavolo da gioco del mondo reale, attirati dalla promessa di guadagni sicuri.”

Il grande risultato di Pokémon Go è stato quello di dimostrare “la possibilità di raggiungere delle economie d’azione su scala globale dirigendo allo stesso tempo delle azioni individuali specifiche verso opportunità commerciali locali, dove chi paga di più può godersi qualcosa che si avvicina al guadagno sicuro. Il successo specifico di Niantic è stata la capacità di gestire la gamification come un modo per fare guadagnare con certezza i propri clienti reali: le aziende che prendono parte al mercato dei comportamenti futuri stabilito e ospitato dall’azienda.” 

Non solo: Pokémon Go ha dimostrato che il capitalismo della sorveglianza

“può operare nel mondo reale come in quello virtuale, usando la propria conoscenza unilaterale (scala e scopo) per dare forma al nostro comportamento attuale (azione) con il fine di predire in modo più accurato il nostro comportamento futuro. L’inferenza logica è che i guadagni del mondo reale aumenteranno proporzionalmente la capacità dell’azienda di abbinare persone e luoghi, proprio come Google aveva imparato a raccogliere il surplus per poter indirizzare gli ads online a individui specifici.”

Il videogioco diventa dunque una portentosa spugna che assorbe una vasta gamma di informazioni degli utenti - chi sono, dove vanno, quando, come e con chi - sfruttando il GPS dello smartphone. Vista la popolarità del gioco, Niantic ha potuto creare una mappatura precisa e dettagliata dei comportamenti degli utenti, creando un grafico sociale iper-granulare grazie anche alla possibilità dell’app di accedere anche ai contatti memorizzati sullo smartphone e di trovare account sullo smartphone. Acconsentendo ai termini d’uso di Pokémon Go - le informazioni contenute in quel contratto che nessuno legge - l’utente de facto accetta che Niantic possa condividere “informazioni aggregate e non identificative con parti terze per scopi di ricerca, analisi, compilazione di profili demografici e similari”, ottenere un “preciso tracciamento delle posizioni” e la “capacità di rilevare l’impronta vocale” dell’utente. Si noti che queste informazioni non sono necessarie al funzionamento del gioco. Semmai, il gioco diventa lo strumento attraverso il quale l’azienda carpisce e sfrutta a proprio vantaggio una quantità spropositata di informazioni personali. A seguito di un’interpellanza parlamentare, l’azienda è stata costretta ad ammettere che l'app “raccoglie e interpreta” una vasta quantità di dati personali, ma si è ben guardata da spiegare gli usi di tali dati, per quanto tempo vengono conservati e per quali fini, senza per altro contestualizzare le modalità di gestione delle visite da parte dell’utente delle cosiddette “location sponsorizzate”. Zuboff spiega che Niantic ha occultato

“con cura la propria intenzione di progettare e sviluppare economie d’azione volte a spingere comportamenti nel mondo reale, in tempo reale, verso i propri mercati dei comportamenti futuri. La parte geniale di Pokémon Go è stata la trasformazione del gioco visibile in un gioco superiore appartenente al capitalismo della sorveglianza. [...] I giocatori che hanno usato la città come il loro tavolo da gioco, scorrazzando tra parchi e pizzerie, senza saperlo sono stati le pedine di un gioco molto più significativo e del tutto diverso. [...] Nel gioco reale, i prodotti predittivi assumono la forma di protocolli che impongono forme di telestimolazione mirate a pungolare e irreggimentare le persone che si muovono in territori reali, per spendere i propri soldi reali nei luoghi fisici dei mercati dei comportamenti futuri di Niantic.”

Zuboff spiega inoltre come Niantic abbia massimizzato le conoscenze che ha ottenuto attraverso una mappatura sistematica del concreto per colonizzare il virtuale:

“La stessa Niantic è una piccola sonda emersa dalle immense capacità di mappatura, dal flusso di surplus, dai mezzi di produzione e dagli enormi server di Google, che sta costruendo e testando il prototipo di una modifica globale del comportamento, gestita e detenuta dal capitalismo della sorveglianza. Niantic ha scoperto che nel piacere di una competizione sociale appassionante, il temibile ostacolo dell’individualità fa largo volontariamente ai protocolli del gioco che stabiliscono le condizioni per la ‘selezione naturale”’. In tal modo, il gioco ottiene e coltiva i comportamenti specifici voluti da chi domina i mercati dei comportamenti futuri della Niantic. I giocatori del secondo gioco competono per accaparrarsi la scia di soldi lasciata da ogni sorridente membro del gregge.”

Per concludere, nel suo libro Il capitalismo della sorveglianza, Zuboff argomenta in modo convincente che i giocatori di Pokémon Go sono stati giocati dal sistema messo a punto da Niantic e dunque da Google.

Gli unici vincitori sono i signori della Silicon Valley. 

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La seconda esegesi che volevo portare alla vostra attenzione è tratta dal libro Il sogno videoludico di Alfie Bown, pubblicato nel settembre 2022 da Luiss University Press. Come ho spiegato in un’altra sede, Bown è un giovane e brillante studioso britannico che studia gli effetti dei videogiochi per mezzo di un approccio psicoanalitico. Nell’introduzione del suo libro, intitolata “Tutorial: Generazione Pokémon”, Bown afferma che

“Il mondo dei videogiochi è uno spazio che crea e trasforma i nostri sogni e i nostri desideri. Ed è, allo stesso modo, dominato da istanze conformiste che tendono al tradizionalismo, alla reazione, alla paura della “crisi”, che promuovono i valori fondanti dell’attuale clima capitalista o invocano il ritorno ai valori di un passato immaginario (anelito che fa il gioco del nazionalismo e del populismo). È un aspetto particolarmente preoccupante, considerato quanto questo spazio potrebbe influire sulla coscienza delle prossime generazioni”.

Al pari della Zuboff, anche Bown ci invita a prestare particolare attenzione ai “pattern ripetitivi che troviamo nei videogiochi e nelle applicazioni per cellulare” che  “sconvolgono, trasformano ed evolvono a poco a poco la nostra coscienza in maniera significativa e spesso nebulosa”. Ma a differenza della studiosa americana, il condizionamento operato dalle app non si limita a influenzare i “comportamenti, scelte e decisioni” degli individui, ma è in grado di generare nuovi desideri. 

Bown condivide la premessa di Zuboff che la natura apparentemente puerile e disimpegnata del gioco elettronico, con il suo proliferare di maschi muscolosi, armi falliche, iper-competizione e grandi conquiste è uno specchio per le allodole. Questo ambaradan macchiettistico, infatti, scoraggia un’attenzione critica invero necessaria vista l’enorme popolarità del mezzo: d’altra parte, è difficile prendere sul serio qualcosa che si presenta come oggettivamente ridicolo. Ma che il videogioco operi un efficace condizionamento del soggetto è assolutamente evidente nel caso di Pokémon Go, che Bown definisce “parte di una sostanziale mutazione della coscienza contemporanea.” 

Seguendo Zuboff, Bown definisce il predecessore gioco di realtà aumentata Ingress “il banco di prova delle ambizioni ideologiche di Google”, un esperimento coronato dal successo per la sua capacità di predisporre “una tecnologia che oggi influenza l’intera popolazione europea e statunitense. Il gioco esemplifica una tendenza che riguarda lo sviluppo di diverse applicazioni per dispositivi mobili, progettate al fine di regolare e influenzare la nostra esperienza dello spazio fisico. Queste app rendono i cellulari una nuova forma di inconscio: una forza ideologica che guida i nostri movimenti, mentre l’utente è solo in parte cosciente di ciò che lo muove e del perché venga indirizzato in determinate direzioni.” Un secondo punto di riferimento, oltre a Zuboff, è Byung-Chul Han, il quale ha introdotto il concetto di inconscio digitale riprendendo e aggiornando la nozione di inconscio ottico formulata da Walter Benjamin. Ciò che accomuna Zuboff, Bown e Han è l’idea che l’efficacia del digitale non sia immediatamente riscontrabile a livello consapevole, bensì inconsapevole. 

Bown, come Zuboff, spiega che Pokémon Go opera secondo una ideologia strumentalizzante:

“Piuttosto che limitarsi a distrarci dalla città e da quello che ci circonda, Ingress e Pokémon GO ci preparano a diventare i cittadini modello di Google.” In questo senso, rappresenta una tecnologia di soggettivazione. Entrambi gli studiosi condividono l’idea che il gioco non si limita solo a monitorare gli spostamenti degli individui nel mondo reale, bensì “a sviluppare la capacità di convogliare le persone in luoghi di sua scelta.”

In questo senso,

“Google sta sviluppando nuove tecnologie che di fatto sapranno prevedere dove vorremo andare, basandosi sull’ora, sulla localizzazione GPS, e sulla cronologia dei nostri spostamenti abituali, registrata nei suoi potentissimi sistemi di memoria. Questo dato, al pari di Ingress, evidenzia l’emergere di un nuovo schema grazie al quale gli smartphone decidono quali strade farci percorrere attraverso la città, incoraggiando gli utenti, senza che questi se ne rendano conto, a sviluppare pattern di movimento abitudinari e ripetitivi.”

È dunque evidente che lungi dal costituire un’attività ricreativa e di “puro disimpegno” - la tipica sciocchezza proferita dai gamer: “è solo un gioco” - prodotti come Pokémon Go hanno “una precisa finalità che opera al servizio del potere governativo e delle aziende”. Come spiega Bown, non si tratta banalmente di soddisfare i desideri dell’utente lasciandogli credere di essere l’unico o  principale artefice delle proprie azioni. Applicazioni come Pokémon Go “sono in grado di anticipare i nostri stessi desideri [...] perché decidono, al suo posto, ciò che desidera.”

Semmai, come afferma Bown, è lo smartphone stesso a generare nell’utente specifici desideri. Infatti:

“Gli utenti pensano di fare liberamente ciò che vogliono, come se quei desideri fossero preesistenti e la loro soddisfazione fosse semplicemente agevolata dal dispositivo. In realtà è Google che sta sviluppando un potere sempre maggiore: la capacità di generare e organizzare il desiderio stesso.”

Il problema che ravvisa Bown è che “stiamo cedendo una importante porzione delle nostre capacità decisionali a dispositivi progettati per mappare le nostre azioni e influenzare i nostri movimenti.” Utilizzando gli strumenti e il linguaggio della psicanalisi lacaniana, lo studioso britannico spiega che la creatura virtuale, il Pokémon, “è un’animazione che non costituisce l’oggetto del desiderio, ma l’oggetto prodotto dal desiderio e sul quale il desiderio può essere proiettato”. Questo perché l’intera serie di Pokémon, inclusa l’iterazione di realtà aumentata,

“è la simulazione della ricerca di un impossibile oggetto del desiderio, in cui i Pokémon svolgono la stessa funzione di un qualsiasi altro tipo oggetto. [Ma] Nel 2016 il Pokémon non è semplicemente uno spostamento da o una sostituzione di un oggetto del desiderio già esistente, ma l’animazione del (il dare vita al) desiderio stesso. È in questo senso che Freud usa il termine ‘animazione’ nel saggio sul Perturbante, parlando dell’‘animazione di oggetti privi di vita’”.

Bown suggerisce che il “Pokémon nasce contemporaneamente al suo desiderio (né prima né dopo essere desiderato)”.

Si serve di questa tesi per spiegare l’evoluzione della serie e, soprattutto, che nei vent’anni intercorsi tra i 1996 e il 2016, la trasformazione è stata qualitativa e non meramente quantitativa:

“Mentre nel 1996 l’oggetto elettronico si poteva intendere come sostitutivo di un oggetto reale, nel 2016 l’oggetto elettronico dà vita a un desiderio completamente nuovo. Vivere nel mondo degli oggetti elettronici non significa dunque accettare copie e simulazioni di oggetti reali, come spesso si crede, ma qualcosa di ben diverso. Vuol dire desiderare seguendo le istruzioni dello schermo, sul quale l’oggetto, nello stesso momento, appare e detta il percorso del desiderio. In questo senso i nostri computer sono stranamente perversi, nell’accezione strettamente psicanalitica, dal momento che ci impongono i loro sfrenati desideri e ci ingiungono, così, di desiderare, servendosi precisamente di quell’idea ormai diffusa secondo cui ci starebbero invece dando ciò che vogliamo. In questo senso potremmo aggiungere che le loro perversioni si realizzano in maniera molto efficace.”

Pokémon Go esemplifica dunque 

"una distopia in cui Google e le sue compagnie sussidiarie ci fanno girare come pazzi per le città, seguendo percorsi di loro scelta alla ricerca incessante di oggetti del desiderio, siano essi un amante su Tinder, un piatto di vero ramen giapponese, o quel Clefairy o Pikachu così sfuggente.” In secondo luogo, il gioco ci mostra come l’oggetto elettronico possa sostituire quello reale. L’oggettività che il Pokémon possiede è equiparabile, in una certa misura, a quella di qualsiasi altro oggetto “fisico” del desiderio. puoi trovare un pasto o una scopata decenti solo nel mondo virtuale, anche quando hai davanti un oggetto “reale”. Da un certo punto di vista, la differenza fra Pokémon, cene e amanti viene cancellata. Ed è questo potere l’aspetto più importante per quanto riguarda le tendenze tecnologiche che troviamo, oggi, nei dispositivi mobili. Dire che questi giochi sono rivoluzionari certamente non vuol dire che stiano facendo del bene, né che siano “radicali” e meno che mai di sinistra. Al contrario, la rivoluzione del desiderio, la “desirevolution”, sembra essere economicista, egemonica e centralizzata."

Bown conclude la sua disamina del fenomeno suggerendo che Pokémon Go presenta tre tesi o lezioni. La prima ha a che fare con il desiderio:

"Innanzitutto, dimostra come il concetto psicoanalitico di desiderio, e le nozioni correlate di condensazione e spostamento, possano permetterci di vedere in modo diverso il funzionamento di questi giochi, svelando come non intendano offrirci ciò che vogliamo, bensì trasformare ciò che desideriamo e come lo desideriamo."

La seconda è legata al concetto di sorveglianza, giacché “rende evidenti i meccanismi di controllo aziendale egemonico del cyberspazio e del mondo degli oggetti elettronici in costante mutazione”. 

La terza e ultima lezione ha a che fare con una consapevolezza potenzialmente sovversiva (Bown utilizza l’avverbio potenzialmente con una certa libertà). Nello specifico, lo studioso britannico afferma che il desiderio di Pokémon Go può “farci realizzare che l’oggetto fisico e il suo desiderio non preesistono alla mediazione tecnologica del desiderio”.

La conclusione di Bown è che Google non fornisce agli utenti ciò che desiderano. Semmai,

“è una forza che modifica la nostra relazione non solo con i Pokémon ma anche con il cibo, le bevande e gli amori, e che così facendo trasforma la nostra soggettività.” Per questo motivo, fare parte della generazione Pokémon “significa essere la generazione degli oggetti e dei desideri elettronici. E se questa generazione fosse in grado di prenderne atto, potrebbe porre fine a una lunga storia di influenze ideologiche e diventare una generazione dalle grandi potenzialità sovversive.”

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Le esegesi di Zuboff e Bown di Pokémon Go fanno parte di una ricca ed eterogenea gamma di lavori critici che esaminano il videogioco non come una mera tecnologia ricreativa, bensì come un efficace strumento di soggettivazione e condizionamento. Questo approccio non si limita banalmente a considerare le caratteristiche tecniche ed estetiche di un servizio o prodotto - l’unica preoccupazione dei fanboy - bensì ne porta in primo piano la sottesa ideologia.

È evidente che giochi come Pokémon Go, lungi dall’aumentare la realtà, la impoveriscono sotto tutti i punti di vista.

In una fase storica in cui il marketing, le pubbliche relazioni e la pubblicità dominano non solo la comunicazione del videogioco, ma il discorso sul videogioco nel suo complesso, i lavori di Zuboff e Bown forniscono un prezioso antidoto all’infantilizzazione della critica e all’istupidimento della conversazione sul cosiddetto “divertimento elettronico”. 

 

Riferimenti bibliografici

Alfie Bown, Il sogno videoludico, Luiss University Press, Roma 2022

Byung Chul Han, Psicopolitica, Edizioni Nottetempo, Roma 2016

Byung Chul Han, Nello sciame, Edizioni Nottetempo, Roma 2015

Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, Roma 2019

 

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Consiglio caldamente l'intervista a Shoshana Zuboff di VPRO (2019) su Pokémon Go

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