Il numero 14 di LINK. Idee per la televisione - di prossima uscita, in formato cartaceo e digitale - ospita la mia riflessione sullo scenario post-televisivo statunitense. Nello specifico, l'analisi che propongo si concentra sul crescente successo dello streaming per la fruizione di contenuti home video - cinema, televisione e sport. In secondo luogo, l’articolo decostruisce di House of Cards, la serie prodotta da David Fincher e interamente finanziata da Netflix che ha debuttato lo scorso febbraio. Sostenuta da un budget paragonabile a quello delle mega-produzioni hollywoodiane (100 milioni di dollari per due stagioni, 26 episodi), cast e registi d’eccezione, House of Cards ha contribuito a ridefinire il ruolo di Netflix da distributore di contenuti a content producer tout court.
Consumo familiare (immagine: Netflix)
Le cifre parlano da sole: nei primi tre mesi del 2013 gli abbonati a Netflix hanno consumato oltre quattro miliardi di ore contenuti in streaming. Nel mio intervento suggerisco che House of Cards (nota 1) rappresenta un modello di post-televisione, che ambisce a trascendere - e sul lungo periodo, soppiantare - il broadcast tradizionale (nota 2). Questa trasformazione concerne l'ideazione, produzione, distribuzione e consumo dei contenuti.
Per quanto importante, House of Cards rappresenta tuttavia un semplice tassello di una complessa e articolata strategia. Qualche giorno fa Netflix ha annunciato un accordo esclusivo con Dreamworks per la produzione di 300 ore di serie originali animate fruibili esclusivamente via streaming. Si tratta di una partnership di fondamentale importanza per un servizio utilizzato quotidianamente da milioni di famiglie per intrattenere i propri bambini (Netflix Just for Kids). A differenza dei videogame - percepiti come un medium violento e potenzialmente pericoloso - Netflix rappresenta la baby sitter elettronica ideale. Grazie a filtri definiti in modo semplice ed intuitivo dall’utente - leggi: i genitori - l’offerta esclude automaticamente contenuti inadatti a un pubblico infantile. E senza dover ricorrere alla costosa offerta via cavo (Nickelodeon, Disney Channel, etc.).
Netflix Just for Kids (immagine: Netflix)
La défaillance del 2012, quando il CEO Reed Hastings aveva annunciato una scissione dell’azienda in due entità autonome, salvo poi annullarla in extremis per via delle reazioni negative dei mercati e degli abbonati (nota 3), non è stata semplicemente superata, ma dimenticata. Lo conferma il recente ingresso dell’azienda nell’indice Nasdaq 100, ovvero l’indice di Borsa delle maggiori 100 compagnie quotate nel mercato borsistico Nasdaq non-finanziarie.
Le considerazioni che seguono rappresentano una sorta di addendum - EXTRAS, appunto - al pezzo LINKato di prossima pubblicazione.
A scanso di equivoci, ci tengo a chiarire che la mia analisi non ha nulla a che fare con le tragicomiche iperboli di WIRED circa la possenza algoritmica dei Big Data in una non ben precisata reinvenzione del mezzo televisivo. La retorica di WIRED - con l’abituale sperpero di promesse/premesse per cui ogni nuova tecnologia "reinventa le regole del gioco", "rivoluziona questo e quello, tutto e subito" - esemplifica il peggio dell’ideologia della Silicon Valley, quell’ideologia che Richard Barbrook e Andy Cameron (1995) avevano erroneamente esteso all’intera California: un mix di fanatismo utopico, determinismo tecnologico e crassa cialtroneria che oggi viene impietosamente sbeffeggiata su Twitter dall’inesauribile/insopportabile Evgeny Morozov.
Le sobrie iperboli di WIRED (fonte: WIRED)
Una seconda lettura parimenti ingenua è quella di Salon, che considera Netflix nientemeno che il Grande Fratello televisivo. Lo scorso febbraio, Andrew Leonard ha lanciato il j’accuse, sostenendo che l'azienda di Los Gatos sta “trasformando gli spettatori in marionette”. Grazie al suo poderoso sistema di monitoraggio in tempo reale delle modalità di consumo, infatti, Netflix è in grado di registrare, identificare e catalogare le abitudini di consumo degli utenti: gusti, preferenze, persino pause e ripetizioni... Nulla passa inosservato. Tuttavia, nell’era di PRISM e di Facebook, lamentare la fine della privacy non è solo ingenuo, ma privo di senso. Che la riservatezza sia estinta è un fatto risaputo - Bruce Schneider lo aveva chiarito nel lontano 1994. In questo senso, Netflix rappresenta il danno minore. Se non altro, il suo oracolo non sbaglia mai un colpo: i suoi suggerimenti hanno creato nuove generazioni di cinefili.
Un aspetto assai più interessante riguarda semmai le trasformazioni dello scenario televisivo americano, riconducibili alla furibonda battaglia in atto tra Hollywood e la Silicon Valley che imperversa da oltre un decennio e la cui escalation potrebbe detrminare un radicale riassetto delle forze in campo.
Nell’aprile 2013, per la prima volta, Netflix ha superato il rivale HBO (un’azienda del gruppo Time Warner) per numero di abbonati sul territorio americano: 29.17 milioni contro 28.7 milioni (fonte: Variety). (nota 4). Allo stesso tempo, la disfida tra Netflix e HBO non va sopravvalutata. Si tratta, dopo tutto, di una semplice battaglia. La guerra in quanto tale coinvolge - e rischia di travolgere - decine di aziende, mercati e piattaforme. Dopo aver costretto alla resa Blockbuster e reso obsoleta la formula del noleggio di DVD e Blu-ray, Netflix ambisce a ridimensionare il ruolo degli studi televisivi e cinematografici di Hollywood, proponendo contenuti inediti per catturare utenze vecchie e nuove. Allo stesso tempo, mira a ridurre l’influenza dei provider via cavo che, negli Stati Uniti, continuano a detenere una posizione di assoluta centralità. Si noti che Netflix non è sola. Apple e Amazon stanno combattendo la medesima battaglia da diversi anni, seppure su campi di battaglia e con armi differenti.
iTunes store (immagine: Apple)
Negli Stati Uniti, l’azienda di Cupertino detiene il primato per quanto concerne il download video (il modello a la carte, per usare l'espressione usata nel mio precedente intervento su cui si basa il pezzo per LINK), mentre Netflix domina incontrastata sul fronte dello streaming. Gli utenti americani di iTunes Store scaricano all'incirca 800,000 episodi televisivi al giorno e 350,000 film (fonte: Apple, 2013). Stando ai dati forniti da NPD Group, Apple si trova in posizione dominante negli Stati Uniti per quanto concerne il download di serie televisive, con uno share del 67% (il dato si riferisce al 2012). In seconda posizione, Microsoft (Xbox Live), la cui percentuale di mercato ammonta al 14% (fonte: NDP Group, 2013), un dato assai significativo che merita ulteriori commenti (vedi sotto). Cifre simili per quanto concerne i film in download: Apple detiene la leadership con il 65%, seguita da Microsoft (Xbox Live), ferma al 10%.
Per quanto concerne il modello buffet, ossia lo streaming in abbonamento (talvolta definito SVOD, streaming video on demand), Netflix gestisce il 90% del mercato (fonte: NPD Group, 2013), seguito a notevole distanza da Hulu Plus e Amazon. A differenza di iTunes Store, il buffet presuppone il pagamento di un abbonamento mensile - annuale, nel caso di Amazon (Prime). Si noti che lo streaming rappresenta la modalità dominante di fruizione di video online, ergo Netflix conta più di iTunes. Nel primo quarto del 2013, il 19% dei film complessivamente fruiti dagli americani provengono da Netflix, mentre solo il 5% da iTunes. Qualche mese fa YouTube ha inagurato una trentina di canali fruibili attraverso abbonamento in dieci mercati (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone, Corea, Francia, Spagna, Russia e Brasile), ma per il momento, le quote di mercato restano irrilevanti. Lo stesso vale per Vimeo VOD.
I cataloghi video di Netflix e iTunes presentano affinità, ma non coincidono. Il piatto forte di iTunes è il video-on-demand cinematografico: Apple distribuisce distribuisce film a noleggio in simultanea e/o anticipo rispetto all’uscita nelle sale, laddove Netflix fino a oggi ha proposto per lo più produzioni disponibili in home video. Lungi dall'escludersi a vicenda, si completano. Con House of Cards - e con le nuove serie (dal reboot di Arrested Development al debutto imminente di Orange is the New Black, passando per Hemlock Grove, rinnovata per una seconda stagione) - e con gli accordi stretti con Dreamworks, la situazione va cambiando.
Pur essendo rivali - per quanto in mercati contigui - Apple e Netflix si "aiutano" reciprocamente. Tra i servizi disponibili su Apple TV spiccano infatti, oltre ad iTunes, anche Netflix, Hulu Plus e, da oggi, HBO Go e il canale sportivo ESPN, che collabora da anni Microsoft (Xbox Live). Del resto, le app trainano le vendite dell'hardware e viceversa. Nel frattempo, Netflix continua la sua conquista dell’Europa. L’ultima nazione a capitolare è stata l’Olanda che, entro la fine dell’anno, diventerà il quarantunesimo paese coperto dal servizio. Nel 2014, Netflix potrebbe espandersi anche al Belgio. Amazon, da parte sua, compete su tutti i fronti - download & streaming (senza dimenticare le merci materiali, fisiche) - offerte attraverso il servizio Prime Instant Video. Al pari di Netflix, Amazon ha recentemente lanciato nuovi programmi post-televisivi - sitcom, drama e show per bambini. Sviluppo questo tema su LINK.
L’interfaccia "televisiva" di Xbox One, OneGuide (fonte: Microsoft)
Che la televisione americana stia attraversando una fase di radicale reinvenzione - sul piano tecnologico prima ancora che contenutistico - è fuori discussione. Per questo motivo, occorre prestare la massima attenzione alle nuove proposte ludiche - e transludiche - di Microsoft e Sony. Su questo fronte, Xbox One presenta un appeal di gran lunga superiore a quello di PlayStation 4. La nuova console Microsoft ambisce infatti ad integrare il divertimento elettronico "tradizionale" e il consumo televisivo. L'azienda di Ballmer si trova in posizione privilegiata rispetto ai rivali. Sony, in primis, ma anche Google, che fino a oggi ha clamorosamente fallito i suoi obiettivi (cfr. Google TV). La stessa Apple è riluttante a mostrare le sue carte, per quanto La Repubblica continui da un lustro ad annunciare l'imminente commercializzazione della famigerata Apple iTV ("Arriva entro la fine dell'anno").
L’interfaccia "televisiva" di Xbox One, OneGuide (fonte: Microsoft)
Xbox One è un cavallo di Troia. Nle novembre del 2013, Microsoft introdurrà sul mercato un set-top box multimediale che massimizza ed espande le proposte post-televisive del predecessore, Xbox 360, una console che da oltre un anno viene utilizzata prevalentemente per l’intrattenimento tout court - i summenzionati Netflix, Hulu, ESPN, ma anche Xbox Music, Vevo, etc. - anziché per i videogame (e ciononostante - o forse proprio per questo - domina le vendite nel territorio americano, davanti a Wii e PlayStation 3: la leadership di Xbox 360 dura da ventinove mesi, fonte NDP Group, 2013). La cosa non deve sorprendere dato che il settore videoludico è in crisi di idee da anni - l'Electronic Entertainment Expo di Los Angeles che se è svolto qualche settimana lo ha confermato - nonostante gli schiamazzi dei fanboys, la nuova generazione offre more of the same, more of the game.
Alla crisi creativa del videogame si accompagna quella economica. Il mese di maggio 2013 ha fatto registrare una delle peggiori performance degli ultimi tredici anni per quanto concerne vendite e fatturato. Rispetto al 2012, il fatturato del mercato videoludico americano è pari -25% ovvero 386 milioni di dollari (96 milioni in hardware a -31% e 175 milioni in software, sempre a -31%). Le cifre rese note da NPD Group si riferiscono al mercato retail tradizionale e non tengono in considerazione il digital download - tablet e smartphone hanno considerevolmente eroso il mercato console tradizionale negli ultimi cinque anni. Molti giocatori hanno abbandonato le console tradizionali - domestiche e portatili - a favore del gaming sulle nuove piattaforme che offrono intrattenimento a costo zero o minimi. Inoltre, formule quali il free-to-play (gioco gratuito) hanno messo in crisi i modelli di business tradizionali che si basano sulla vendita di giochi a 50 o 60 euro. Per sopravvivere, gli sviluppatori che fino a pochi anni producevano software sclusivamente per console, oggi producono app per iOS e Android. Insomma, un cambio di paradigma.
L’interfaccia "televisiva" di Xbox One, OneGuide (fonte: Microsoft)
Per converso, PlayStation4 si colloca in un’ottica di continuità rispetto al predecessore, PlayStation 3. Come tale, si rivolge essenzialmente a un pubblico di appassionati. E' l'ultimo dei dinosauri. Si tratta, infatti, di un’altra console - un formato che persino WIRED aveva definito "defunto" nel 2010 - anche se ci auguriamo che Sony riuscirà a correggere le numerose lacune del modello precedente. A sette anni dal lancio, infatti, l'azienda nipponica appare incapace di aggiornare il firmware della propria console senza mandare in tilt il sistema: l'ultimo episodio si è verificato ieri.
Xbox One, da parte sua, ha ambizioni e obiettivi che trascendono la dimensione puramente videoludica. Si noti che quella di Microsoft rappresenta una scommessa particolarmente rischiosa su mercati che non sono dotati di un'infrastruttura tecnologica (broadband) e televisiva evoluta. Detto altrimenti, un gran numero di caratteristiche che rendono particolarmente appetibile Xbox One saranno pressoché inutilizzabili al di fuori degli Stati Uniti (nota 5).
D'altra parte, Microsoft - al pari di Netflix - ha perfettamente compreso che la rivoluzione mediale richiede nuove strategie, nuove risorse e nuovi contenuti - che richiedono alleanze strategiche a tutto campo. I videogiochi, da soli, non bastano. In questo senso, l'accordo con Steven Spielberg per la serie televisiva su Halo rappresenta un'ulteriore conferma che Hollywood e Silicon Valley sono simultaneamente partner e rivali.
Va notato, en passant, che queste idee - dal video on demand evoluto alla convergenza ludo-televisiva, passando per il mai dimenticato riconoscimento vocale ("Ok, Xbox") - sono tutt'altro che nuove: risalgono infatti agli anni Novanta quando 3DO, la console di Trip Hawkins, ha tentato di ridefinire la natura stessa del divertimento elettronico mentre il video-on-demand faceva la sua prima, timida, apparizione nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Nondimento, lo speech recognition raggiungeva le masse negli anni Novanta, seppure con notevoli limiti. Negli stessi anni, la BBC aveva introdotto in Gran Bretagna un'innovativa serie televisiva intitolata House of Cards.
Corsi e ricorsi.
Nuove tecnologie e ritmi di consumo negli Stati Uniti - grafico di Nicholas Fenton, fonte: New York Times, 2008
Secondo gli studiosi dell'innovazione tecnologica, il periodo medio di incubazione dei new media - dal primo concepimento all'adozione di massa - è di circa vent'anni. Non a caso, la tecnologia videoludica più discussa del momento è Oculus Rift, un dispositivo di realtà virtuale che promette di realizzare un progetto che ha debuttato negli anni Novanta. Oggi esistono le condizioni sociali, tecnologiche, infrastrutturali e culturali che rendono possibile un'ampia adozione della VR, a differenza della tecnologia 3D sulla quale Sony aveva puntato tutto, oggi abbandonata persino da ESPN.
Per dirla con Portlandia, "The dream of the Nineties is alive". Oggi, viviamo tutti a Portland.
Matteo Bittanti
Note
Nota 1. Ironicamente, House of Cards è un remake di una serie televisiva britannica degli anni ‘90 a conferma che la sindrome dello specchietto retrovisore descritta da Marshall McLuhan non ha perso alcuna efficacia esplicativa anche nell’era digitale
Nota 2. La battaglia, tuttavia, si preannuncia lunga. Secondo una recente ricerca Nielsen intitolata “Zero TV household”, circa cinque milioni di americani perferiscono lo streaming all’offerta del broadcast (cavo, satellite, etere). Una cifra irrisoria rispetto al numero di abbonati ai servizi televisivi “tradizionali” - che ammontano al 95% del totale - ma tuttavia significativa considerando che nel 2007 erano solo tre milioni. Tra gli americani che rinunciano a servizi via cavo, il 75% possiede almeno un televisore, usato prevalentemente come monitor per videogame, streaming di contenuti home video e chat (Skype). Le famiglie che non possiedono un televisore - la cui percentuale, va notato, è in crescita - fruiscono contenuti video su piattaforme pc (37%), internet (16%), smartphone (8%) e tablet (6%). Le famiglie a “zero tv” sono soprattutto le più giovani - e come tali, innovative: quasi la metà ha meno di 35 anni. Nell’85,5% dei casi sono non ispaniche, nell’80,9% non hanno figli. Il 36% motiva la scelta per ragioni di costi, mentre il 31% per l'assenza di contenuti interessanti.
Nota 3. La fiducia degli investitori era crollata e il valore della azioni di Netflix era sceso da un massimo di $298 dollari a un minimo di $52.81. Le azioni sono successivamente ritornate sopra i duecento dollari (la performance di Netflix, in questo senso, è seconda solo a quella di Google) e i profitti sono aumentati del 18 per cento rispetto all’anno precedente, superando il miliardo di dollari complessivo (1.2 miliardi di dollari, per essere precisi). Netflix investe 450 milioni di dollari all’anno per promuovere il proprio brand nel mondo e altri due miliardi dollari per acquistare licenze e sviluppare prodotti ex novo (fonte: Netflix, 2013).
Nota 4. Infatti, a livello mondiale, HBO vanta il triplo di abbonati rispetto a Netflix - 114 milioni di abbonati vs. 7.14 di Netflix- ma il tasso di crescita del secondo è superiore. Per esempio, la società di ricerche di mercato Trefis prevede che entro il 2019 il numero di abbonati di Netflix aumenterà ulteriormente - sono previsti 13,7 milioni nuovi utenti - grazie alla diffusione di media streamer di nuova generazione (console in primis, ma anche i prossimi modelli di Roku e Apple TV).
Nota 5. Per ulteriori informazioni, cfr. l'esaustivo articolo di Ben Drawbaugh, The Xbox One and live tv - What to Expect, Engadget, 19 giugno 2013.