"Copia e incolla da qui: da circa un lustro, stiamo assistendo a un fenomeno editoriale molto interessante. Le tradizionali riviste cartacee mainstream sono finite. Hanno esaurito la loro funzione storica. Alcune testate si sono adattate ai nuovi formati digitali. Altre sono semplicemente scomparse, nel disinteresse generale. Come i dinosauri, sono state sterminate da un melanconico asteroide. Simultaneamente, assistiamo a un'esplosione di pubblicazioni di nicchia, ultra-stilose, per proto-hipster e aficionados di ogni possibile sottocultura. Tutte rigorosamente cartacee: cellulosa, inchiostro e colla, come negli anni Settanta. Oggetti da collezione, edizioni limitate, cadenza trimestrale o semestrale, disponibili in pochi, pochissimi luoghi: negozi per hipster, librerie che vendono sigari e bourbon d'annata, cafe' guidati da barista con baffi a manubrio.
Una delle mie preferite e' Offscreen, un periodico giunto al terzo numero (il primo e' chiaramente sold out) che propone resoconti dettagliati sulle vite personali dei "digital creators", i creatori digitali. "Il lato umano del web". No, non si tratta di un clone di WIRED. E', semmai, l'esatto opposto. Le sue pagine, rigorosamente cartacee, non celebrano i pesi massimi tipo Bezos, Zuckerberg, Page, Dorsey. Al contrario, sono i soldatini che combattono in trincea a godersi quindici minuti di fama. Mi riferisco agli individui che creano app e siti web di cui ci serviamo quotidianamente. Tipo Hannah Donovan, ex-designer di last.fm. Andrew Wilkinson di MetaLab. Jenna Bilotta di Avocado ed ex-Google. Contributors internazionali. Ambizioni planetarie. Ecco il promo, che fa molto Portland-ia.
La cosa che ti colpisce di Offscreen e' che i designer del nuovo mondo digitale sono tutti bianchi, bianchissimi, bianco-vaniglia. Su tutti, l'editor-in-chief, Kai Brach, che ha lanciato il primo numero un anno fa. Il grande merito di Brach e' di aver trasformato in figure eroiche e icone sexy i programmatori, gli art director, i web designer. Brach e' il Tyler Brûlé geek. La serie sui workspace sembra uscita dalle pagine di Monocle.
Il ritorno alla carta attesta la feticizzazione del tangibile. Una sindrome assai diffusa all'interno di una generazione che ha contribuito massicciamente alla sua decadenza. Gia' a livello di titolazione, il periodico rende esplicito il crescente rigetto per l'immateriale, l'effimero e il fluido dei bit. Offscreen ha una cadenza trimestrale. Centododici pagine, formato 18cm per 25 cm, carta ovviamente reciclata, font eleganti (Cyclone by Hoefler & Frere-Jones, Calluna by exljbris), design australiano di brizk design ma stampa teutonica (Berlino, vera capitale digitale europea). Insomma, lo stato dell'arte. Caldamente consigliata a tutti i collezionisti di macchine da scrivere Olivetti. Le riviste per iPad sono terribilmente demode', volgari, rafferme. Oggi se non produci un periodico su carta in edizione limitata non sei nessuno. Magari un almanacco con le pagine ingiallite. Per emulare i filtri instagram. Instant-vintage.
Ah, L'Italia non fa parte dell'elitario gruppo di rivenditori autorizzati. Grazie al cielo, Offscreen e' reperibile online - l'abbonamento costa $50 all'anno.
Comunque, se la cellulosa vi fa ribrezzo, c'e' sempre il blog." (Matteo Bittanti, WIRED)
Immagini: Offscreen