"JustIn Time", pubblicato su Rolling Stone, Febbraio 2012, p. 81
"In un certo senso, In Time esemplifica la fantascienza in quanto tale: un genere ricco di idee, ma spesso incapace di supportare l'output creativo dei suoi autori con un'esecuzione ugualmente convincente. L'esempio paradigmatico è Philip K. Dick, le cui geniali invenzioni sono penalizzate da una prosa inelegante e farraginosa. Scritto e diretto da Andrew Niccol, sceneggiatore di Truman Show e regista di SimOne, Now è affetto dalla medesima psico-patologia. La premessa é micidiale. Ma superato l'incipit, il film si trasforma in un fiacco remake di Bonnie & Clyde, s'ingolfa, infine implode. Un'occasione perduta.
Peccato perché Now ci costringe a fare i conti con l'ossessione per l'eterna giovinezza tipica delle società tecnologicamente avanzate - società sempre più vecchie - non solo sul piano biologico, ma anche su quello ideologico, culturale, politico ed economico. Nel futuro prossimo venturo, il tempo è letteralmente denaro. Al compimento del venticinquesimo compleanno, gli esseri umani possono vivere solo un altro anno, a meno che riescano ad acquistare ore, giorni, settimane, anni extra attraverso vie legali ("il lavoro rende liberi", no?) o illegali. Ogni merce ha un prezzo quantificabile in chronos: un caffé costa quattro minuti, una cena in un ristorante trendy otto settimane e mezzo. Come nella realtà, il mondo è suddiviso in due categorie: l'1% di ultraricchi (i centenari) e il 99% di poveracci che rischiano l'estinzione automatica una volta raggiunto il quarto di secolo.
Non c'è modo di sgarrare. Non ci sono cheat modes. Ogni individuo ha un timer tatuato sul polso - un incrocio tra un codice a barre, un chip RFID e i numeri di identificazione dei campi di concentramento - che svolge anche la funzione di scanner. Personal tracking all'ennesima potenza - progetto che i visionari della Silicon Valley stanno per altro già realizzando e che Nike ha appena messo in pratica (FuelBand).
Ma veniamo alla storia: Dopo la morte della madre, il ventottenne Will (Justin Timberlake) decide di combattere il Sistema, con la complicità di Sylvia (Amanda Seyfried), figlia del milionario Philippe Weis (Vincent Kartheiser), "un tipo che vale eoni". Diciamolo: il film potrebbe anche finire qui, anzi, dovrebbe finire qui. Ma In Time soffre della stessa sindrome di The Matrix, Daybreakers, Equilibrium... Dieci minuti brillanti sono seguiti da ore di inutili sparatorie-inseguimenti-dialoghi idioti. In Time poteva passare alla storia come un'arguta rilettura di Das Kapital di Karl Marx e della dialettica servo-padrone di Hegel, invece presenta tutti i limiti del cinema commerciale del ventunesimo secolo, per sua natura generico, ontologicamente ridondante, un cinema che sembra procedere per inerzia, riciclando il passato prossimo sotto forma di remake, prequel e pseudo-sequel.
Beninteso, Niccol coglie perfettamente il senso di "sfinimento", "esaurimento", "fine della storia" tipico della cultura pop contemporanea. E lo fa non solo remixando consapevolmente il suo Gattaca, ma anche suggerendo che il design del Futuro è praticamente indistinguibile da quello del 2012. Tutte le automobili sono elettriche, ma lo chassis è rimasto fermo agli anni Sessanta - Lincoln Continental, Jaguar e Cadillac - per via dell'ossessione retronostalgica di una cultura in perenne stand-by. Nel mondo di In Time, i poveri sono segregati in ghetti urbani, mentre il ricchiume vive protetto in gated communities iper-blindate. Insomma, "The Time is Now", per dirla con Moloko.
In attesa dell'inevitabile rivalutazione critica di Slavoj Zizek negli extras del DVD, consiglio di recuperare Non lasciarmi di Mark Romanek (2010) e La fuga di Logan (1976) di Michael Anderson, che trattano temi simili - l'obsolescenza umana pianificata - con risultati assai diversi. Migliori.
Ecco, mi fermo qui: non vorrei farvi perdere minuti preziosi. Il tempo è timberlake." (matteo bittanti)
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