"Di questi tempi, sono tutti impegnati a leggere romanzi esagerati. Tipo l'ultimo Murakami. Haruki, non Ryu (quello di Audition). Su Goodreads me l'hanno consigliato in undici. Il fatto è che ho smesso da tempo di credere nelle Grandi Narrazioni. Tutta colpa di Lyotard. Per cui mi diletto con briciole di saggistica. La raccolta di pensieri spettinati di Jonathan Lethem, per esempio. E quell'antologia di saggi, articoli, recensioni, prefazioni e previsioni di William Gibson altrimenti nota come Distrust That Particular Flavor (2012), recentemente pubblicata negli Stati Uniti. Ora, a differenza di The Ecstasy of Influence. Non Fictions Etc., l'antologia gibsoniana non procede per temi, ma per tipi.
Come l'interfaccia di Tweetdeck, spalanca finestre in modo sostanzialmente random su una moltitudine di mondi. Anche in questo caso, la maggior parte del materiale è disponibile in rete, a costo zero, ma il formato del libro-contenitore facilita la lettura. I libri, lo ricordo, sono sostanzialmente scatole. E non tutte vanno rotte. Distrust That Particular Flavor propone venticinque frammenti di varia lunghezza. Chi segue il brillante canadese da tempi non sospetti non troverà grosse sorprese in questo pacchetto. Prendi il seminale articolo in cui il nostro paragona Singapore a una Disneyland in cui vige la pena di morte - una delle cose più interessanti mai pubblicate da Wired. Apparso nel 1993, il pezzo di Gibson ha spinto il governo di Singapore a vietare per anni la vendita e la distribuzione della testata di Rossetto e Kelly. Ma lo abbiamo letto tutti, almeno cento volte, no? Poco importa. Il formato digitale facilita la trasmigrazione delle parole da uno schermo all'altro. E questa è cosa buona e giusta.
Distrust That Particular Flavor è un inventario di citazioni pronte ad essere scorporate-e-incorporate in saggi, articoli, lezioni. Una foresta di aforismi prodotti da quell'ardente fan di Twitter altrimenti noto come @GreatDismal [nota mentale: non è un caso che i grandi scrittori - Gibson, Ellis, Coupland adorino Twitter e detestino Facebook]. Nell'era di Kindle il libro viene letteralmente fatto a pezzi e scorporato in mille frammenti, un po' come i film su YouTube le cui scene, sequenze, situazioni sono sistematicamente scomposte & giustapposte, trasformate & travisate, manipolate & remixate. Grazie all'opzione di sottolineatura pubblica di Kindle, i libri vengono fatti a pezzettini dai lettori per poi essere ricostruiti altrove, sotto altra forma, in altri modi. E gli algoritmi, da parte loro, fanno miracoli. Se fosse ancora qui con noi, Georges Perec probabilmente venderebbe la porchetta fuori dallo stadio.
Si potrebbe anche osservare che il pezzo forte di questi saggi non sono i saggi in quanto tali, ma i commenti ex post di Gibson, i suoi giudizi a tergo, questi sì inediti. Se ancora non fosse chiaro, è tutto molto meta. Gibson rilegge le sue cose e, come il peggiore troll di YouTube, scatarra commenti salaci, sagaci e sardonici. Il canadese non lesina critiche - al proprio stile di scrittura, alla vaghezza di svariate descrizioni, all'obsolescenza pianificata di alcuni articoli. Per esempio, al termine di un pezzo assolutamente brillante su eBay, Gibson conclude che "Abbisogna di un taglio di capelli!", sottolineando la ridondanza di interi paragrafi. Altrove confessa di aver vomitato un torrente di parole sotto l'influenza della caffeina (?). I veri scrittori sono perfezionisti, masochisti, perennemente insoddisfatti del proprio lavoro. Gibson non fa eccezione. Per converso, gran parte dei cosiddetti "media guru" dei nostri tempi - i cosiddetti "intellettuali di internet" - sono noiosi, prevedibili, se non patetici. Il 70% ricicla le cose che Marshall McLuhan ha scritto/detto negli anni Sessanta, il restante 30% parafrasa i mantra di William Gibson profferiti negli anni Novanta, dimostrando di non averli assolutamente compresi.
È anche (soprattutto?) a questo nutrito gruppo che consiglio caldamente la lettura di Distrust That Particular Flavor, efficace intro al Gibson-pensiero. Decisamente autobiografica, questa raccolta fornisce preziose informazioni sul modus operandi del visionario di Vancouver. Scopriamo, per esempio, che Gibson talvolta trova problematico partorire la nomenclatura dei suoi personaggi: "In un momento di difficoltà avevo pensato di ispirarmi ai nomi dei prodotti del catalogo IKEA," confessa tra il serio e il faceto nell'introduzione. E qualche rivelazione. "Anche se non lo esplicito, Neuromante è ambientato nel 2030, un 2030 in cui esiste una cosa simile a internet che si chiama 'cyberspace' mentre i telefoni cellulari sono del tutto assenti, un aspetto che per i lettori più giovani rappresenta un punto chiave della trama. Nello specifico, c'è una cosa che assomiglia al cyberspace, una cosa che ho chiamato "cyberspace", ma che non è esattamente il cyberspace" (2010), scrive in modo criptico ma non troppo.
A proposito di equivoci. Gibson è stato tra i primi a cogliere la patologia dell'era digitale, la cosiddetta "fatica del futuro" in un articolo seminale che ha ispirato, tra i tanti, Simon Reynolds. Secondo Gibson, il Futuro non esiste più perché è imbricato col presente e col passato. Viviamo in un'era di stasi permanente, di pausa persistente, di menopausa metafisica. Abbiamo smesso di fare grandi progetti, distratti da Facebook, l'iPhone, Twitter e mille puttanate televisive. Lo stesso Neal Stephenson, in uno degli interventi più importanti degli ultimi diciotto mesi - "Innovation Starvation" -, lamentava la fine dell'innovazione tout court. Difficile dargli torto. Un paio di anni fa Gibson scriveva:
"Alvin Toffler ci aveva messo in guardia circa lo shock del futuro, ma la situazione che stiamo vivendo oggi é assai diversa. Come definirla... Fatica del Futuro? Trovo interessante che nell'ultimo decennio, gli unici critici di fantascienza a cui presto attenzione - tre in tutto - abbiano unanimemente annunciato la fine del Futuro. Non mi sento di biasimare chi intravede in una simile affermazione apodittica gli echi di una frase altrettanto sciocca circa la fine della Storia. Allo stesso tempo, devo ammettere che, nel corso della mia esistenza, ho assistito alla fine del Futuro, del futuro in quanto tale, del Futuro con la Effe maiuscola, un'idea paragonabile a un culto, se non a una religione. Chi, come me, è cresciuto nella seconda metà del ventesimo secolo, crede - o credeva - nell'idea stessa del Futuro. Noi siamo il frutto di quell'idea. Per converso, i giovani non hanno la più pallida idea di cosa voglia dire il termine 'Futuro.' I quindicenni di oggi vivono in una sorta di Adesso digitale, in un qui ed ora infinito, in uno stato di atemporalità perpetua resa possibile dalla nostra sempre più efficiente memoria protesica collettiva. Non li biasimo, beninteso. Sospetto inoltre che non siano consapevoli della loro condizione perché, come spiegano gli antropologi, per noi è quasi impossibile comprendere davvero la cultura in cui viviamo" ("Talk for the Book Expo", 2010)
Come attestano questi frammenti, "saggistica" e "narrativa" sono termini che vanno stretti a Gibson. I suoi romanzi presentano tutte le marche di stile del reportage giornalistico. Per converso, alcuni articoli sono personali, impressionistici, favolistici. Come spiega Gibson nell'introduzione: "Scrivere narrativa per me rappresenta un'attività unica, un territorio neurologico, uno stato di alterazione. Non posso affermare lo stesso per quanto riguarda la saggistica." Dato che non ha senso recensire un libro nell'era della lettura collettiva, preferisco condividere con i lettori di WIRED alcuni dei miei passaggi preferiti di Distrust That Particular Flavor, liberamente tradotti in italiano, suddivisi per temi e accompagnati da qualche nota/spiegazione/commento. Suggerisco di prestare particolare attenzione alle date tra parentesi. Non uso l'aggettivo "profetico" perché abusato.
Tecnologie della comunicazione
"Una volta perfezionate, le tecnologie della comunicazione raramente escono di scena in modo definitivo. Semmai, svolgono una funzione precisa, ritagliandosi un ruolo di nicchia all'interno dell'infrastruttura globale" ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
Si tratta, a ben vedere, di una tesi opposta a quella di Bruce Sterling, il cui progetto Dead Media prevedeva la creazione di un immenso archivio delle tecnologie defunte, una colossale mappatura dei mezzi obsoleti.
"Ho visto il primo fax a Tokyo. Katsuhiro Otomo ne aveva parecchi a casa sua. Joi Ito e i suoi amici, a Tokyo, sono stati i primi esseri umani che ho incontrato intenti a usare i telefoni cellulari per coordinare con straordinaria efficacia gli incontri serali in città. Un tizio assai elegante, fuori da una boutique di Paul Smith, è stato il primo individuo dotato di auricolari e microfono bluetooth che ho confuso per un matto farneticante. Questo è il futuro distribuito." (Commento a "Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
"Sospetto che una delle cose che i nostri pronipoti faticheranno a comprendere del nostro presente è come abbiamo potuto gestire tutte queste differenti apparecchiature invece di usare macchine tuttofare. I loro frigoriferi svolgeranno la funzione di assistenti personali e i bauli delle auto saranno utilizzabili come congelatori. I computer finiranno incorporati in tutti gli oggetti di uso quotidiano. Si diffonderanno a tutti i livelli, come vasellina calda. Le interfacce davvero evolute sono trasparenti, cosi' trasparenti da diventare invisibili." ("Up the line", discorso, 2003)
Usi inaspettati delle tecnologie
"Se i governi avessero intuito le potenzialità di Internet, lo avrebbero strangolato nella culla. Le tecnologie emergenti sono, per definizione, fuori controllo, e come tali, producono risultati imprevedibili." ("Up the line", discorso, 2003)
"La Strada trova i propri usi per le cose - usi che i produttori non erano stati in grado di immaginare." ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
Si tratta di una delle frasi più note di Gibson - insieme al pervasivo "Il futuro è già arrivato, ma non è equamente distribuito" - nonché motto delle subculture DIY, hacker e modder. Usata per la prima volta nell'antologia di racconti "La notte che bruciammo Chrome" (1986), è stata successivamente "spiegata"nel saggio "Rocket Radio" apparso su Rolling Stone (1989). Vale la pena di citare l'intero passaggio:
"La Strada trova i propri usi per le cose - usi che i produttori non avevano mai immaginato. Il registratore di microcassette, originariamente pensato per la dizione istantanea, diventa il medium rivoluzionario della magnitizdat e favorisce la diffusione e condivisione dei discorsi politici sovversivi in Polonia e in Cina. Il beeper e il telefono cellulare sono diventati strumenti preziosi nel mercato sempre più competitivo delle droghe illegali. Altri artefatti tecnologici sono divenuti strumenti di comunicazione, per caso o necessità. La bomboletta spray ha dato i natali alla street art. Usando macchinari per le radiografie, i rockettari russi hanno creato i flexy-disc." ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
Qualche precisazione: Magnitizdat: termine usato per indicare pratiche di bootleg nell'ex Unione Sovietica. Flexy disc: noto anche come phonosheet o sonosheet, è un supporto in vinile, diffusosi dalla metà degli anni '50 fino al termine degli anni '80.
Televisione
"Appartengo a una generazione di americani che ricorda in modo assai vago il mondo prima della televisione. Questa ammissione induce vergogna in molti di noi perché implica che il mondo prima della televisione non era, per così dire, vero. Il "mondo prima della televisione" è paragonabile al "mondo prima della Rete", ma con una differenza fondamentale. Il primo è il mondo della cultura di massa, dei meccanismi dell'Informazione. Noi invece apparteniamo all'era della Rete." ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
"Oggi passo su internet tanto tempo quanto una persona media spende di fronte alla televisione. Ma consumo pochissima televisione. Nel senso tradizionale del termine, ma anche in quello alternativo." ("Since 1948", 2002)
"Nella nostra epoca ipermediata, guardare la televisione rappresenta una specie di lavoro. Creature postindustriali dell'economia dell'informazione, siamo convinti che l'accesso ai mezzi di comunicazione rappresenti un'occupazione a tempo pieno. Non esiste più il mero intrattenimento. Siamo sempre coscienti di noi stessi. Condannati a guardarci mentre guardiamo. Ci guardiamo mentre guardiamo noi stessi guardare Beavis & Butt-Head che guardano i video rock." ("The Net is A Waste of Time", The New York Times, 1996)
Neofilia
"La seduzione del nuovo, il suo continuo sfinimento. La metafisica del desiderio consumistico, in questi ultimi anni del ventesimo secolo..." ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
"La commutazione perpetua tra il nulla - nel senso che non c'è nulla di nuovo sotto il sole - e tutto ciò che è cambiato di recente, negli ultimi istanti - rappresenta la tensione fondamentale della mia ricerca." ("Dead Man Sings", Forbes, 1999)
Walkman
"Il walkman ha profondamente modificato il modo in cui comprendiamo le città. Ho ascoltato per la prima volta i Joy Division su un Walkman e per me risulta impossibile separare la maestosità tetra di quella musica dai piaceri della scoperta resi possibili dal movimento propulsivo nello spazio urbano." ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
Fantascienza
"Anche se la fantascienza riesce talvolta a prevedere alcune cose, è assai raro che sia capace di prevedere gli effetti di quelle cose sulla nostra società. Per esempio, la televisione, una sorta di vetrina per centinaia di storie prodotte dagli anni Venti fino ai Quaranta, veniva spesso presentata come uno strumento di comunicazione personale. Nessuno è stato in grado di immaginare l'avvento della pubblicità, dei quiz-show o dei video musicali delle band heavy-metal. Detto questo, prevedo che la famiglia dei media sia destinata a convergere in un grumo sempre più uniforme. La distinzione tra televisione, lettore CD e computer è del tutto arbitraria di questi tempi, una truffa pensata per giustificare i robot che saldano i circuiti integrati." ("Rocket Radio", Rolling Stone, 1989)
Ah, Gibson - a differenza di Cormac McCarthy - non usa una macchina da scrivere dal 1985, ma la leggenda urbana che continui a servirsi di questo dispositivo persiste. "Ho usato la macchina da scrivere semplicemente perché nel 1977 la usavano tutti. Si trattava, per altro, di un modello manuale e non elettrico semplicemente perchè non ero riuscito a trovare di meglio." ("Since 1948", 2002)
Futuro
"Il Futuro, con la Effe-maiuscola, inteso come città di cristallo in cima alla collina o deserto postatomico radioattivo, è finito. Di fronte a noi c'è solo... Roba. Eventi. Alcuni di questi tendono al cristallino, altri al deserto. Roba: il fritto misto del quotidiano." ("Talk for the Book Expo", 2010)
"Lo stato delle cose - ossia la Fine del Futuro - rappresenta, a mio avviso, una cosa positiva. Attesta, per certi versi, una sorta di maturità, la consapevolezza che qualsiasi futuro è il passato di qualcun altro, qualsiasi presente è il futuro di qualcun altro. Una volta raggiunto il Futuro con la Effe-maiuscola scopriamo inevitabilmente che quell'effe è minuscola." ("Talk for the Book Expo", 2010)
"Trovo il disordine, nel mio ambiente personale, opprimente. Ma gli ambienti colmi di tecnologia morta e spazzatura geniale sono una presenza regolare nei miei romanzi. Mi piace presentarli come manifestazioni al tempo stesso confortanti, evocative e persino magiche del nostro presente. Il futuro è un mercato delle pulci. Ecco, il futuro me lo immagino proprio in questo modo, anche se non in forma esclusiva. Il mio primo impulso, quando qualcuno mi presenta un nuovo gadget scintillante, è immaginare come sarà tra dieci anni, quando raccoglierà la polvere sotto un tavolo da gioco in un negozio dell'usato." ("My obsession", Wired, 1999)
Libro
"Un libro si colloca all'intersezione tra l'inconscio dell'autore e l'interpretazione del lettore. E lo stesso vale, se vogliamo, per la carriera di un autore. Uno scrittore cerca di dipanare un groviglio di pensieri, presentandoli attraverso un dispositivo che li comunica in forma intelligibile, ma lo scrittore non è in grado di sapere che cosa è stato in grado di comunicare finché non lo vede effettivamente comunicato" ("Talk for the Book Expo", 2010)
"Le forme letterarie sono strumenti e quelle autenticamente nuove sono rare e infrequenti" ("Metrophagy. The Art and Science of Digesting Great Cities", 2001)
Tempo
"Il tempo si muove in una direzione, la memoria in un'altra. Siamo una specie misteriosa che costruisce artefatti destinati a contrastare il flusso naturale della dimenticanza." ("Dead Man Sings", Forbes, 1999)
"Il nostro 'ora' è diventato allo stesso tempo tragicamente breve e incredibilmente elastico. La vita media delle merci mediali si riduce sempre più. Le cose scompaiono poco dopo la loro prima apparizione. Questo fenomeno non é che il sintomo di una logica del tutto peculiare, per cui i quindici minuti warholiani sono compressi in un batter d'occhio misurabile in quark. Allo stesso tempo, una volta che un artefatto viene ammesso nel Pantheon della cultura, la sua vita media viene artificialmente prolungata e resta con noi per un tempo assai lungo. Si tratta della medesima funzione del tasto Rewind. Del resto tutti noi desideriamo restare in onda grazie alla ripetizione continua. Più la ripetizione - e mercificazione - cresce e si fa globale, più la storia diventa un costrutto personale, soggetto a continua revisione." ("Dead Man Sings", Forbes, 1999)
"Il punto di arrivo della cultura umana potrebbe essere un singolo momento dalla durata effettivamente infinita, una specie di "Ora" digitale, infinito. Oppure no, forse non c'è proprio nulla di nuovo, al termine di tutti i nostri inizi e il bisonte sarà lì, in attesa." ("Dead Man Sings", Forbes, 1999)
"Quando i nostri antenati hanno trovato il loro primo schermo di pietra hanno dato inizio a un progetto su vasta scala, un progetto che solo ora comincia a diventare chiaro: la costruzione titanica di una memoria protesica, una memoria capace di sconfiggere il tempo. Estensioni del cervello umano e del sistema nervoso, in grado di sopravvivere alla morte dell'individuo, magari persino di sopravvivere alla fine della nostra specie. [I nostri antenati] hanno dato avvio a quella che sarebbe diventata la civiltà, le città, cinema. Calendari di pietra, macchine megalitiche che ci rammentano la necessità di dare inizio alla semina in un dato giorno, a offrire dei sacrifici in un altro." ("Up the line", discorso, 2003)
Giappone
"Oltre un milione di giapponesi, la maggior parte dei quali giovani maschi, si sono ritirati nelle loro camerette, alcuni per circa sei mesi, altri per oltre dieci anni. Il quarantuno percento si ritira per un periodo compreso tra uno e cinque anni, ma pochi di loro presentano i segni dell'agorafobia, della depressione o di qualsiasi altra condizione che ci si aspetterebbe per spiegare un simile comportamento." ("Shiny Balls of Mud", Tate Magazine, 2002)
Qui Gibson allude al fenomeno degli hikikomori. Cfr. il cortometraggio "Shaking Tokyo" di Joon-ho Bong tratto dal film Tokyo! (Michel Gondry, Joon-ho Bong, Leos Carax, 2008).
"A Tokyo, i distributori automatici formano una città segreta della solitudine. Se ci si limita ad acquistare prodotti venduti da queste macchinette, è possibile trascorrere intere giornate a Tokyo senza dover stabilire un contatto visivo con un altro essere umano" ("Shiny Balls of Mud", Tate Magazine, 2002)
"La solitudine paradossale e l'onnipotenza degli otaku, gli entusiasti del nuovo secolo: la gloria e il terrore inerente nella riduzione assoluta della propria larghezza di banda" ("Shiny Balls of Mud", Tate Magazine, 2002)
"I giapponesi sono gli early adopter definitivi." ("Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
"Se, come me, credete che tutti i cambiamenti culturali siano motivati dalla tecnologia, prestare attenzione ai giapponesi è pressoché obbligatorio." ("Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
"Il risultato del triplo patatrac (industrializzazione catastrofica, guerra ed occupazione americana) è il Giappone che oggi ci diletta, disturba e affascina. Un mondo speculare, un pianeta alieno con il quale possiamo fare affari, affari che hanno un futuro." ("Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
"Ho sempre pensato che Londra, per qualche motivo, rappresentasse l'osservatorio privilegiato da cui osservare Tokyo, forse perché gli inglesi adorano tutto quello che è nipponico." ("Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
"L'otaku, il fan compulsivo, è l'incarnazione perfetta dell'esperto nell'era dell'informazione. Ossessionato dell'accumulo di dati anziché di oggetti, [l'otaku] costituisce l'interfaccia naturale tra la cultura inglese e nipponica." ("Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
"I giapponesi adorano ciò che chiamano "brand segreti" e anche in questo condividono qualcosa con gli inglesi. Entrambi sono caratterizzati dal fascino per i dettagli, per la catalogazione, per la distinzione. Entrambe le culture sono sorprendentemente efficienti nel riconcettualizzare i prodotti stranieri, nell'assorbirli e nel renderli propri." ("Modern Boys and Mobile Girls", The Observer, 2001)
Collezionismo/Curatela
"Stiamo assistendo al fenomeno della democratizzazione dell'expertise, per cui il privilegio curatoriale oggi si diffonde a ogni livello della società." ("My obsession", Wired, 1999)
"L'idea dell'oggetto da collezionismo è oggi pervasiva e per certi versi mi colpisce come una riconfigurazione istintuale e disperata del flusso postindustriale, una sorta di risposta elementare dei mammiferi al diluvio sconcertante di roba che produciamo" ("My obsession", Wired, 1999)
Orologi
"Gli orologi meccanici sono così fantasticamente superflui" ("My obsession", Wired, 1999)
"Un qualunque orologio Swatch o Casio è tecnologicamente superiore a tutti i modelli svizzeri di alta-fascia che costano come un'automobile. Ma gli orologi meccanici sono una manifestazione di quel fenomeno che il mio amico John Clute definisce 'Il gesto del Tamagotchi.' Sono inutili in un senso del tutto peculiare: ci fanno sentire bene perché hanno bisogno di noi, abbisognano della nostra cura, della nostra attenzione." ("My obsession", Wired, 1999)
"Gli orologi meccanici vintage sono i fossili dell'era predigitale. Sono un mondo in miniatura, un meccanismo perfetto, una congerie di parti in movimento minuto e misterioso. Oggetti in movimento! Questi orologi sono, in un certo senso, vivi. Hanno un cuore pulsante. Paiono rispondere, come dei Tamagotchi, al nostro "amore", solitamente attraverso la formula delle costose cure di tecnici specializzati. Come antichi trattori a vapore o motociclette Vincent, possono essere accuratamente restaurati e salvati da uno stadio avanzato di rovina. E, come le cianfrusaglie di quel solaio che è il mondo, la maggior parte di quelle davvero buone fanno già parte di qualche collezione." ("My obsession", Wired, 1999)
Privacy
"Guidati dall'accelerazione costante della potenza di calcolo, dalla connettività e dallo sviluppo simultaneo di sistemi di sorveglianza, delle tecnologie di tracciamento, ci avviciniamo a uno stato teorico di assoluta trasparenza informazionale, uno stadio in cui il controllo 'orwelliano' non è più strettamente gerarchico, caratterizzato da strategie di controllo top-down, ma in qualche misura democratizzato. La perdita individuale di frammenti di privacy è un fenomeno che riguarda anche le società e i governi nel loro complesso. Sul breve periodo, può dunque sembrare che la perdita di privacy tradizionale sia guidata da questioni di sicurezza nazionale, ma nel tempo questo potrebbe rivelarsi un fattore inerente alla natura stessa dell'informazione." ("The Road to Oceania", The New York Times, 2003)
"Sta diventando incredibilmente difficile per chiunque, e intendo dire chiunque, mantenere un segreto." ("The Road to Oceania", The New York Times, 2003)
"Un mondo di trasparenza informazionale sarà inevitabilmente caratterizzato da una molteplicità di punti di vista deliranti, un mondo di disinformazione, teorie cospirative e follia quotidiana. Saremo in grado di vedere di più e più in fretta, ma non per questo riusciremo a trovare un accordo in modo più rapido o più facile." ("The Road to Oceania", The New York Times, 2003)
Cfr. le considerazioni in merito al "Villaggio globale" di Marshall McLuhan. Quasi una parafrasi.
"Le teorie complottiste e soprannaturali ci rassicurano perché presentano mondi possibili che hanno più senso di quello cosiddetto "reale", e, a prescindere dalla loro pericolosità, ci spaventano assai meno di quello in cui viviamo." ("Metrophagy. The Art and Science of Digesting Great Cities", 2001)
Potrei proseguire per pagine (virtuali), ma l'ansia enciclopedica è sintomatica di una mente malsana, ergo mi fermo qui. Le parole di Gibson mi risuonano nel cervello come i beat elettronici sparati a livelli inconcepibili in un club della zona post-industriale e il riverbero neurale produce un'estasi sinaptica. Ci tengo tuttavia a precisare che una delle cose migliori che ho letto su Gibson non fa parte di questa seppur gustosa antologia. Mi riferisco all'intervista rilasciata a Paris Review la scorsa estate. Ecco, quello che manca è una meta-raccolta di conversazioni con William Gibson. Se c'è un formato che esalta il suo stile aforistico-profetico è proprio il dialogo, l'interscambio. Potrei raccattarle online e infilarle in un folder su Instapaper. Ma sono troppo pigro. Aspetto che qualcuno lo faccia per me. Buon lavoro." (Matteo Bittanti, WIRED)
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