"Portland, Oregon è un luogo fuori dal tempo, out of a joint, direbbe Philip K. Dick. Un luogo dove i giovani vanno in pensione, dove gli hipsters rappresentano la maggioranza della popolazione, dove l'inchiostro dei tatuaggi non si secca mai, dove la gente si reinventa come clown e si unisce a un burlesque. Come cantano Fred Armisen (Saturday Night Live, Yo! Gabba Gabba) e Carrie Brownstein (ex-grrrl di Sleater-Kinney, Wild Flag), "Il sogno degli anni novanta è vivo e vegeto a Portland".
Giunta alla seconda stagione e prodotta da IFC (Independent Film Channel, il cui motto è "always on, slightly off"), Portlandia non è una semplice serie televisiva. Piuttosto, è un manifesto retronostalgico, una celebrazione del passato recente, l'ipostatizzazione di un non-luogo - un universo parallelo, tipo Bizarro World seinfeldiano - in cui "dormire fino alle undici del mattino è normale", dove far carriera significa lavorare in una fattoria organica o nel cafè all'angolo della strada (ma solo per due giorni alla settimana) oppure essere disoccupati a tempo pieno. A Portland "le camicie di flanella sono cool" e "mangiare fuori" vuol dire sfamarsi con i rifiuti. La Portland di Armisen e Brownstein sussume i caratteri surreali di città come San Francisco e Seattle, senza dimenticare Berkeley, la cui filosofia uber-conservatrice che si cela dietro a una facciata libertaria viene sistematicamente sbeffeggiata.
Sul piano narrativo, Portlandia è frammentato e schizofrenico come gli utenti di Twitter, che schizzano da un tema all'altro senza alcuna soluzione di continuità. Guarda qui! Guarda li! Leggi qui! Retwitta questo! Retwitta quello! Cresciuti in un ambiente mediale che prevede tempi di attenzione inferiori ai due minuti, i fans di Portlandia non possono che apprezzare le briciole di genialità concepite per un medium come YouTube che trasudano in ogni situazione messa in scena dal brillante duo. Portlandia ricorda le cose migliori di Christopher Guest, capolavori come Waiting for Guffman. Relitto urbano della scena "alternativa" - dalla filosofia slacker al culto della caffeina gourmet - Portland ha elevato la diversità e la tolleranza a livelli trans-umani. I nuovi mostri sono i fanatici della bicicletta modello Critical Mass ("Caaars, man... Why?!?") che si considerano padroni della strada e in questo senso non sono ontologicamente differenti dagli stronzi alla guida degli SUV tanto detestati da Greenberg. I nuovi mostri sono gli ossessionati dal cibo biologico, che qui negli Stati Uniti chiamiamo "organic". Un nuovo culto che ha come cattedrali i supermercati per straricchi Whole Foods. I nuovi mostri sono i fanatici del DIY, della cultura fai-da-te, celebrata come valida alternativa al capitalismo di massa quando in realtà presenta tutti i vizi del consumismo industriale. Del cosplay a tutti i costi. Del sesso politically correct. Del culto dell'informazione. Dell'idea che per creare un'opera arte basta capovolgere un quadro oppure appiccicare l'immagine di un piccione a una tazza del caffé (cfr. Art School Confidential di Daniel Clowes). I veri mostri sono le bellicose Candice e Toni, che gestiscono la libreria femminista Women and Women First e che si rifiutano di separarsi dei libri che vendono o di consentire al povero Steve Buscemi di servirsi della toilette ("Come osi portare la tua arroganza fallocratica nel nostro tempio?"). I veri mostri sono i fanatici del multitasking che slittanodall'iPod all'iPhone a Facebook a Netflix per sentirsi vivi.
I veri mostri sono quelli che vendono telefoni cellulari. I veri mostri sono quelli che vogliono essere originali e diversi da tutti gli altri, dove l'originalità è concepita come "personalizzazione del template" di Facebook. I veri mostri sono quelli che ascoltano solo musica "alternativa", vestono "vintage", si dichiarano fan dei Pearl Jam nel 2012 e fanno la spesa esclusivamente nei mercatini e altre aberrazioni del genere. Portlandia non è una sitcom, ma una serie di ritratti. Sketch. Situazioni. Momenti. Mementi. Ah, il sindaco di Portlandia è Kyle MacLachlan, ex Twin Peaks, che non ha altro obiettivo nella vita se non superare l'odiata Seattle (il vero sindaco, Sam Adams, interpreta il ruolo del suo assistente).
Ho detto tutto.
Il grande paradosso di Portlandia è che dietro all'apparente idiozia delle situazioni messe in scena, si cela un umorismo particolarmente sofisticato, che presuppone un pubblico in grado di cogliere il genio dietro alla scelta di usare Aimee Mann come cameriera nella prima serie. O delle consequenze sociali e psicologiche delle malsane maratone di DVD su Netflix - quanti hanno perso il posto di lavoro per colpa di Battlestar Galactica? Ma la parodia del geek, dell'eco-terrorista, dell'allergico oltranzista e dei salutisti integralisti funziona solo nel momento in cui gli spettatori sono a conoscenza delle contraddizioni demenziali dei lifestyle delle summenzionate sottoculture ("Niente glutine, per me"). In altre parole, Portlandia si rivolge a un pubblico di nicchia, che apprezza cose fuori dagli schermi tipo Rubicon o Men of a Certain Age (che, non a caso, sono state cancellate dopo una o due stagioni - troppo sottili per lo spettatore medio che si ingozza di roba tipo CSI, X-Factor, 30 Rock e altre puttanate simili). In altre parole, seguitela ora, prima che scompaia dagli schermi. Perché Portlandia è la migliore serie dell'era post-televisiva - la televisione è finita da almeno un lustro, quella che ci ostiniamo a chiamare televisione è, in realtà, un mero monitor. In questo senso, Portlandia è un monito.
Anzi, il monito." (Matteo Bittanti, WIRED)
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