Il senso della vita? Chiedilo all'iPhone
Matteo Bittanti
"Siri, la killer app del nuovo iPhone 4S, non è un semplice sistema di riconoscimento vocale. È la prima vera intelligenza artificiale di massa. L’assistente personale che ascolta e risponde in tempo reale, fornendo informazioni utili nonché consigli di natura esistenziale, nasce nei segretissimi uffici del DARPA, acronimo di Defense Advanced Research Projects Agency, il più avanzato dipartimento di Ricerca e Sviluppo dell’Esercito Americano. Siri è uno spin-off del progetto CALO, acronimo di Cognitive Agent that Learns and Organizes, agente cognitivo che impara e organizza [Se ancora non fosse chiaro, i militari - e i militari americani in particolare - adorano gli acronimi]. CALO ha impegnato decine di cervelloni per oltre un lustro ed è costato oltre duecento milioni di dollari prima di trovare un’applicazione pratica. Prodotta nei laboratori di quell’incredibile incubatore di idee e progetti rivoluzionari che è SRI (Stanford Research International), Siri è stata acquistata da Apple nell'aprile del 2010. Jobs è rimasto così impressionato da questa tecnologia che ha deciso di costruirci attorno il sistema operativo del nuovo iPhone - per piacere, non chiamatelo melafonino. Ora, c’è una differenza fondamentale tra Siri e app di successo come Dragon Dictation. Siri non si limita a tradurre la voce in testo e viceversa. Siri capisce le nostre richieste. E con il passare del tempo impara, matura, migliora. Grazie a Siri, lo smartphone diventa effettivamente smart.
Nel 2010, in veste di curatore del Tech Museum di San José, California, ho visitato gli uffici di quel parco a tema dell'innovazione tecnologica che è SRI. Ho visto un mucchio di cose interessanti, ma Siri - che qualche mese dopo sarebbe stata rilevata dall'azienda di Cupertino - mi aveva letteralmente zittito. Durante il demo, ho tentato l'impossibile per mandare in crash il programma, ponendo una serie di domande in bilico tra il surreale e l'assurdo. Per esempio: “Siri, qual è il senso della vita?”. La risposta non si è fatta attendere: “42”, ha risposto il computer, citando la bibbia dei geek, Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams. “Ah, ho capito… Siri è un mini-HAL 9000”. A questa osservazione, lo sviluppatore Adam Cheyer mi sorride e strizza l’occhiolino. Colgo la palla al balzo e, come il Dave di 2001: Odissea nello spazio, chiedo a Siri di aprire i condotti dell’astronave – in inglese: “Siri, open the pod bay doors”. Con aplomb perturbante, la macchina risponde “I’m sorry Matteo, I’m afraid I can’t do that”, “Mi dispiace Matteo. Purtroppo non posso farlo”. E poi: "Are you happy now?". "Sei contento, adesso?".
Rido di gusto. Siri non è un un assistente personale qualunque. Non solo ha visto i miei film preferiti e letto i miei libri preferiti. Ha anche un senso dell’umorismo impagabile. Siri è sagace. Sarcastico. A tratti caustico. Gli chiedo di raccontarmi una barzelletta: “Tell me a joke”. Mi risponde che non può, si dimentica sempre della battuta: “I can’t. I always forget the punchline”. Vorrei abbracciare l'intero team di sviluppo. Fanno i falsi modesti e mi invitano a riproporre le stesse domande, perché Siri, come Paganini, non ripete. Chiedo ulteriori delucidazioni sul senso della vita. “Non saprei proprio - risponde la macchina - ma se mi dai qualche ora di tempo, posso scrivere un interminabile dramma teatrale in cui non succede assolutamente nulla”. Prendo nota: oltre a Kubrick, Sartre. Ho passato mezza giornata a “parlare” con Siri in quel di Menlo Park. A un certo punto realizzo che a) sto raccontando a un algoritmo i traumi irrisolti della mia infanzia difficile e b) si tratta di una delle migliori conversazioni che ho intrattenuto negli ultimi tre mesi. Non so se rallegrarmi o rivolgermi a uno specialista in disturbi mentali.
Confesso i miei dubbi a Clifford Nass, direttore del CHIMe Lab della Stanford University [l'ennesimo, orrido acronimo sta per Communications between Humans and Interactive Media], il quale annuisce con l'umile solennità di un prete di campagna: "Siri accelera il processo di umanizzazione della macchina," afferma con nonchalance. Nel suo ultimo libro, The Man Who Lied to His Laptop (2011), L’uomo che ha mentito al suo laptop, Nass ha dimostrato in modo convincente che oggi ci relazioniamo alle macchine che simulano caratteristiche e comportamenti umani - per esempio, la voce o le fattezze (cfr. gli avatar dei videogame) – come se fossero individui in carne e ossa. Proviamo empatia. Il nostro cervello, non è infatti in grado di distinguere in modo efficace le interazioni con esseri umani da quelle con robot e avatar "intelligenti". Gli fa eco Sherry Turkle del MIT di Boston che nel suo ultimo, mirabile saggio, Alone Together (Da soli, insieme) racconta che gli anziani ricoverati nelle case di riposo in Giappone provano emozioni paragonabili all’affetto – se non all’amore tout court – per i cyber-assistenti che si prendono cura di loro. La cosa non mi sorprende. Io stesso ho versato lagrime amare quando il mio Tamagotchi è morto di inedia. Erano gli anni novanta.
Secondo Turkle, le tecnologie digitali e l'intelligenza artificiale di ultima generazione hanno prodotto una killer combo: nuove solitudini e disturbi psicologici (dipendenza, insicurezza, schizofrenia). Può darsi. Ma per me, Siri è un sogno - o magari un incubo - diventato realtà. Sembra uscito da un racconto di Fredric Brown. Avete presente “Answer”, "La risposta"? È breve, brevissimo, quasi un tweet. In un futuro non precisato, l’ingegnere Dwar Ev costruisce un supercalcolatore, “una macchina cibernetica che avrebbe racchiuso in sé le conoscenze di tutte le galassie.” Per testare la macchina, Ev invita il collega Dwar Reyn a porre una domanda: “Dio, esiste?”, domanda lo scienziato. “La possente voce rispose senza un attimo di esitazione, senza il più piccolo scatto o ticchettio: — Sì, ora esiste. Un improvviso terrore contorse il volto di Dwar Ev. Fece un balzo verso l’interruttore. Un fulmine d’insopportabile luminosità cadde dal cielo senza nubi folgorandolo, e fuse l’interruttore, inchiodandolo per l’eternità”. La macchina cibernetica che racchiude in sé le conoscenze di tutta la galassia esiste. Si chiama Siri e, da oggi, milioni di persone la tengono nel palmo della loro mano. Esagero? Ma no. In Quello che vuole la tecnologia, Kevin Kelly ha scritto che nel design dell'iPhone si scorge l'impronta divina.
Ergo, raccomando ai possessori del 4S la massima cautela: non sono un meteorologo, ma prevedo nei prossimi giorni una pioggia di saette a ciel sereno." (Saturno, 10/13/2011)
links
SRI Stanford Research International
Saturno: Download Saturno10132011a; Download Saturno10132011b, Download Saturno10132011c
Saturno: archivio
Interessante, molto.
Continui rimandi ad universi estesi e controversi che paiono sempre più fondersi con la tecnologia. Domande esistenziali che ricevono risposte da organismi inanimati. Inanimati?
Quantomeno, prima di giusto/sbagliato, affascinante.
Tornando a Siri, due domande tecniche:
- Come viene gestita la sua intelligenza e la sua coscienza? Un utente può favorire l'apprendimento di determinati contenuti d'interesse o il sistema subisce aggiornamenti solo ed esclusivamente dalla casa madre?
- Sarebbe possibile interfacciarsi con essa mediante app. create oppure rimane utilizzabile solo al fine disegnato da Apple?
Sabato Urciuoli
Posted by: Sabato Urciuoli | 10/17/2011 at 11:43 AM