"L’upgrade coatto prosegue senza sosta. Con una mossa che evoca la trama di Terminator, nei supermercati della Bay Area, i cassieri umani sono stati sostituiti dai robot. Ormai interagisco esclusivamente con scanner ed algoritmi. E mi sento terribilmente in colpa.
Se da un lato, la filosofia del checkout automatizzato è del tutto coerente con la pratica dello shopping, dall’altro produce effetti di dissonanza cognitiva che nemmeno il mio consumo compulsivo di fantascienza può attenuare.
Facciamo un passo indietro.
Fino a pochi anni fa, l’acquisto di merci in quella cattedrale del consumo che è il supermercato prevedeva un rituale relativamente trasparente, ivi riassunto: a) il consumatore rimuove personalmente le merci impilate sugli scaffali per depositarle nel suo carrello/cestino; b) al termine della raccolta, esibisce orgogliosamente il bottino al cassiere il quale c) provvede a scannerizzare i codici a barre stampati sulle singole confezioni. Al termine di un processo che può durare pochi secondi o minuti a seconda di variabili (per es. la quantità di oggetti acquistati e/o l'abilità di scanning del cassiere), la macchina annunciato il punteggio finale (80 dollari? 100 dollari? 150 dollari?). La mirabile transizione si conclude con una transazione: dopo aver dimostrato la sua appartenenza all’esclusivo club del consumo che prevede la temporanea donazione al baldo cassiere di un rettangolo plastificato gelosamente custodito nel portafoglio in grado di rivelare preziose informazioni sulle nostre pratiche di acquisto (e probabilmente anche sulle nostre inclinazioni sessuali), il cliente fa scorrere nell’apposito lettore un secondo rettangolo di plastica gelosamente custodito nel portafoglio, inserisce il famigerato codice PIN(o), magari riscatta della carta verde grazie alla formula del cash back, quindi ottiene il via libera per prelevare le merci che il baldo cassiere (o il suo assistente) ha abilmente infilato in un doppio bustone cartonato. Dopo aver rifiutato l’invito all’assistenza per il trasporto del summenzionato bustone cartonato fino al veicolo motorizzato che ci attende pazientemente nel parcheggio – parcheggio nel quale è possibile sostare per un massimo due ore prima dell’inevitabile rimozione forzata – usciamo rubicondi da quella fortezza delle merci, muzak e luci al neon altrimenti nota come “supermarket”. Un'altra battuta di caccia si è conclusa con successo.
Negli ultimi tempi, tuttavia, le regole del gioco sono cambiate. La principale novità è che il cassiere umano non c’è più. Si è estinto, notte tempo, come i brontosauri e i tirannosauri. Il meteorite della situazione risponde al nome di innovazione tecnologica. Tutte le più importanti catene di supermercati americane hanno sostituito “carne & ossa” con “metallo & silicio”. Per il momento, il cliente umano-troppo-umano ®esiste, ma è solo questione di tempo. La rivoluzione non è stata trasmessa in televisione. Non ne ha parlato nessuno. Gli sporadici picchetti dei cassieri “terminati”, organizzati nei parcheggi dei supermarke con tanto di megafoni e cartelli, sono stati accolti da quel disinteresse generale che contraddistingue la vita quotidiana del Primo Mondo ai tempi del Tardo Capitalismo, i cui problemi, com'è noto, sono ben altri. Conversazione udita nel parcheggio di Fresh & Easy: “Hai saputo che Gonzalo, il cassiere messicano ha perso il lavoro? [Pausa] …OMG!!! Ci sono sono le enchilada surgelate in offerta!!! E oggi ho pure il COUPON!!!”.
Il cassiere elettronico, da parte sua, non protesta, ma conteggia le enchilada surgelate con impagabile efficienza. C’è di più: la macchina mi ringrazia per aver scelto quello specifico supermercato e non un altro. Mi sollecita – in modo gentile, ma determinato - a scannerizzare rapidamente i codici a barre che identificano i vari prodotti. Mi invita a collocarli nel bustone di cartone. Ad infilare il mitico coupon in uno degli orifizi della macchina che lampeggiano a intervalli regolari – ah, la magia del LED. Nella Bay Area, tutti i cassieri elettronici parlano con una suadente voce femminile, generalmente caucasica, inequivocabilmente bianca. Con un prossimo aggiornamento del firmware sarà possibile selezionare sesso, etnia e persino accento, un po’ come nei dispositivi GPS per l’auto. Mi aspetto anche il pieno supporto al riconoscimento vocale. Adoro il progresso. Ora, il checkout automatizzato non va confuso con il self-scanning, assai diffuso in Italia sin dalla fine degli anni novanta, grazie alla Coop. Quest’ultimo prevede una differente procedura: il cliente preleva uno scanner portatile situato all’ingresso del punto vendita e legge i codici a barre dei prodotti, per poi riporli dolcemente all'interno del carrello o cestino. Giunto alla cassa, il cliente consegna il lettore che ha registrato l’ammontare delle merci acquistate e paga senza necessità di svuotare carrello o cestino e di farle scorrere sul nastro. In breve, il self-scanning sta al checkout automatizzato come il Nintendo DS sta a Xbox 360: la prima è mobile, la seconda fissa e, tecnicamente parlando, più sofisticata.
Se ancora non fosse chiaro, la pratica di auto-scannerizzazione delle merci rappresenta un’ulteriore evoluzione del fenomeno di McDonaldizzazione della società discusso a suo tempo dal sociologo George Ritzer, per cui il consumatore svolge simultaneamente una molteplicità di ruoli, accorpando – letteralmente – funzioni e competenze un tempo distribuite – nel caso di McDonald’s il cliente è insieme cliente e cameriere: una volta entrato nel “ristorante” a) si accosta alla cassa, b) ordina le sue dosi di colesterolo, zuccheri e grassi liquidi & solidi, c) le trasporta al tavolo di plastica grazie a un vassoio di plastica color mattone (marrone?), d) le consuma in tempi possibilmente rapidi, e quindi e) si libera dei rifiuti prodotti (polistirolo, carta unta e bisunta etc.), depositandoli negli appositi contenitori. Perché riciclare è importante. Analogamente, nei supermercati 2.0, l’utente svolge simultaneamente il ruolo di consumatore e cassiere. L’era digitale segna la fine della specializzazione e l’avvento del multi-tasking, ma questo l’aveva già capito Marshall McLuhan mezzo secolo fa.
Il checkout automatizzato mi responsabilizza e insieme trasforma una pratica meccanica, sostanzialmente passiva, in un’avventura videoludica. Il checkout automatizzato gamifica lo shopping e titilla il velopendulo. Scariche di adrenalina mi attraversano il corpo da capo a piedi mentre premo pulsanti in modo semi-random sul touchscreen, scannerizzo i codici a barre come se fossero i cacodemoni di Doom ma non prima di farli suonare con Barcodas, peso le banane senza tentare di raddrizzarle, inserisco il pin, e infine clicco su “OK” sulla tastiera digitale. Achievement unlocked! Mi piacerebbe condividere l’esperienza con i miei seguaci di Twitter e con i miei amici di Facebook, ma l’opzione non è ancora contemplata. Attendo con fervore religioso il summenzionato aggiornamento del firmware. Il checkout automatizzato incrementa l’efficienza, riduce le code, ma soprattutto elimina le inane conversazioni con il cassiere: “Come stai oggi? Adoro questi cereali al mirtillo, sono i miei preferiti. Hai trovato tutto quello che cercavi? Sei soddisfatto? Hai massimizzato le tue risorse di consumatore?”. Elimina, soprattutto, una serie di stucchevoli rituali, come la necessità di mostrare la tua patente quando acquisti alcolici. Negli Stati Uniti, l’età minima per acquistare alcolici è 21 anni, ma i cassieri hanno il diritto di chiedere un documento a chiunque che “potrebbe avere meno di 30 anni”, così dice il cartello. Perché? “È la policy del supermercato”. Non si discute. De facto, la patente viene chiesta a tutti, anche ai novantenni suonati. Ora, il checkout cybernetico non elimina l’assurdo rituale, ma lo semplifica, eliminando la ridicola domanda: “Can I see your I.D.?”. Domanda alla quale rispondo abitualmente con un "Wow, you made my day! I'm flattered", ovvero “Oh, grazie, sono lusingato”, traducibile come: “Sono felice che tu ipotizzi che abbia meno di trent’anni. Anzi, sono estasiato. Pensa, oggi ero alle cozze, in crisi di sonno, malnutrito, sbattuto come un uovo, ma tu, tu mi hai risollevato. Fare shopping mi ringiovanisce! Allo stesso tempo, sono perfettamente consapevole che tu sai benissimo che ho più di trent’anni e che sono sbattuto come un uovo. Io so che tu sai che io so. Le mie occhiaie parlano da sole. Mi chiedi di ratificare il mio stato di non-giovane attraverso l’esibizione in fondo umiliante della patente perché 'è la policy del supermercato'. Sotto questa luce - il neon - quel “Grazie, sono lusingato” acquista un nuovo significato: un commento ironico sull’assurdità della richiesta? Critica alla burocrazia kafkiana del grocery store statunitense? Ai posteri l’ardua esegesi.
Ma sto divagando.
Il punto è che alcune catene – come Fresh & Easy o CVS Pharmacy – hanno quasi completamente rimosso gli esseri umani. I pochi sopravvissuti oggi svolgono la funzione di “supervisori”. La qualifica non deve trarre in inganno. I superstiti sono del tutto asserviti alle macchine. Non supervisionano un bel niente: sono costretti a correggere i bug del sistema, a resettare l’uber-cassa quando s’impianta. Un supervisore interviene solo quando qualcosa va storto, tipo quando il cliente manda in crash il dispositivo di scannerizzazione oppure si “dimentica” di pagare qualche articolo, che so, le banane. Niente di nuovo: è la dialettica servo-padrone descritta da Hegel. E dai Wachowski Bros di The Matrix. A volte le macchine impazziscono, come in quei film di fantascienza degli anni Settanta - Il mondo dei robot e Fuga dal mondo dei robot - e lanciano anatemi come “Unexpected item in the bagging area” (articolo inaspettato nell’area imbustazione”). L’inquietante messaggio oggi adorna un numero considerevole di t-shirt e fa parte del folklore dello shopping robotico.
Ora, per chi non lo sapesse, la mirabile cassa elettronica è dotata di sensori che registrano il peso di ogni merce. Miracoli dell'intelligenza artificiale! Se il cliente tenta di fare il furbo, il cassiere digitale lo capisce al volo e dopo averlo redarguito verbalmente (“Did you remove an item?”) richiama l’attenzione del supervisore mentre sollecita il cliente a restare nelle vicinanze (“Please, wait for the assistant”). Oltre ai messaggi vocali, profferiti a un volume che non lascia dubbi sulla gravità della situazione, la macchina attiva come per incanto delle lucine rosse – quasi una sirena – collocate sulla parte superiore della struttura. Quando lo strobo s’illumina d’immenso, non ti resta altro da fare che guardarti intorno imbarazzato, sorriso forzato, nonchalance simulata, consapevole che gli altri acquirenti ti stanno osservando, scrutando, giudicando (“Ah, che inetto!”, “Volevi fare lo splendido, eh?”, “Ecco cosa succede quando si sfida la Legge”!). La lucina rossa intermittente preannuncia dolorose punizioni corporali. Lancio occhiate furtive, smarrito e impaurito come una lepre circondata da cacciatori e mastini, e immagino il peggio. So che i futuri modelli saranno dotati di sistemi di elettrocuzione dei clienti, modello Painstation. Nel frattempo, mi vedo legato ed immobilizzato a una sedia nel retro del supermarket, mentre Nicolai, un energumeno di origini ucraine con gli occhiali a specchio, si accanisce sui miei zigomi. La radio in sottofondo suona “Stuck in the Middle With You” degli Stealer Wheel e capisco che è finita. Lo scenario b) prevede invece un linciaggio nel parcheggio organizzato dagli altri consumatori, infuriati perché il tuo escamotage ha violato e disturbato il sacro rituale dell’acquisto, una situazione che sembra uscita dall’ultimo romanzo di J.G. Ballard. Passano interminabili secondi e la lucina rossa continua a lampeggiare. Ti viene in mente quella battuta de L’aereo più pazzo del mondo sempre più pazzo - “Che ce ne facciamo di una lucina rossa se non c’è il film porno da abbinare?” - profferita dal grande William Shatner. Prima ancora di attivare la modalità buonsenso, l’hai già pronunciata, a voce alta, così per sciogliere la tensione. Non ride nessuno. Anzi, una soccer mom ti guarda disgustata. Una voce nel cervello ti dice che sei finito sulla lista dei predatori sessuali.
Finalmente, il “supervisore” si materializza. È un ragazzino di origini asiatiche che non avrà più di undici anni. Il badge dice “Huang” e ti chiedi se si tratti del nome o del cognome. Mi guarda con aria comprensiva, ma non complice. Sorride, ma sa che sono un completo idiota. Difficile biasimarlo. “Huang” carezza il touchscreen in modo sensuale, dal che evinco che è un esperto di petting. Inserisce un codice segreto che ho tentato più volte di carpire, senza riuscirci, scannerizza la tessera magnetica che porta al collo come un medaglia al valore e l’inquieto dispositivo elettronico, tutto d’un tratto, si acquieta. “Everything is ok, now”, mi rassicura Huang. Mi aspetto di venir bandito per sempre da Fresh & Easy. Mi preparo, mentalmente, a spiegare che non sono come uno di quei furbi che hanno sviluppato una serie di tecniche efficacissime per fregare la macchina, possibilmente il Sistema, filmando le loro performance per motivi che spaziano dall’esigenza di documentare l’atto e/o vantarsi con gli amici.
Vorrei anche dire all’undicenne che non sono un luddista. Sì, lo confesso, ho letto Lewis Mumford. Pure Neil Postman. Li ho persino assegnati ai miei studenti... Ma, perbacco, credo nel potere salvifico dell’high-tech! Dopo tutto, vivo a gadgetlandia!!! Sono fermamente convinto che i videogiochi salveranno il mondo, come evangelizza Guru McGonigal!!! Amo e rispetto la tecnologia, anche se probabilmente verrò presto rimpiazzato da un androide che fa la spesa per me, alla luce della mia inettitudine, il Roomba dello shopping, il Rambo del coupon. Che. Non. Deve. Chiedere. Mai.
Non ce n'è bisogno.
Le mie ansie sono ingiustificate. L’undicenne si è già volatilizzato. Probabilmente sta programmando un nuovo algoritmo per prevedere i movimenti della borsa. Wall Street, non il bustone cartonato seduto ai miei piedi, come un cagnolino fedele. Mi giro e fronteggio nuovamente il robot. Ce la posso fare, ce la posso fare, ripeto come un mantra mentre riavvio la delicata operazione di scannerizzazione: mancano solo pochi articoli. Granola senza glutine e latte di mandorle. Tutto scorre liscio. Rilasso i muscoli della mandibola.
Clifford Nass, direttore del CHIMe Lab della Stanford University - l'orrido acronimo sta per "Communications between Humans and Interactive Media" - ha dimostrato in modo convincente che ci relazioniamo alle macchine che simulano caratteristiche e comportamenti umani - per esempio, la voce o le fattezze (si pensi agli avatar dei videogame) – come se fossero esseri umani. Proviamo empatia. Nel suo ultimo libro, The Man Who Lied to His Laptop (2011), Nass spiega che i il nostro cervello non è in grado di distinguere le interazioni con esseri umani da quelle con robot e avatar "intelligenti". Non solo: Sherry Turkle ha illustrato che gli anziani ricoverati nelle case di riposo in Giappone provano emozioni paragonabili all’affetto – se non all’amore tout court – per i cyber-assistenti che si prendono cura di loro. La cosa non mi sorprende considerando che io stesso ho versato lagrime amare quando è morto il mio Tamagotchi. Erano gli anni novanta.
A scanso di equivoci, ci tengo a precisare che la sorte dei checkout automatici nei supermercati è incerta. Anzi, alcune catene (per es. Albertsons) hanno cominciato a rimuoverle dopo averle installate attorno al 2007, perché i clienti, specie quelli meno sgamati, commettono una serie di errori da noob che rallentano invece di accelerare il processo di checkout, mettendo in crisi la logica della catena di montaggio sulla quale si fonda l’intera procedura. Frederick Winslow Taylor ed Henry Ford si stanno probabilmente rivoltando nella tomba. A me invece piace credere che si tratti di un vero e proprio sabotaggio mascherato da inettitudine (Jacques Tati docet), il desiderio di ribellarsi al modus operandi di Terminator, una forma di resistenza al consumismo razionale, all'imperativo cibernetico, espressa persino da Thomas Friedman, due giorni fa, sul New York Times: il titolo del pezzo la dice lunga "How Did the Robot End Up With My Job?". Ma forse ho visto troppi documentari di Michael Moore.
Ah, questa settimana ci sono le quesadilla in offerta." (Matteo Bittanti, WIRED)
Photo credit: Matteo Bittanti
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