Intervista rilasciata a Luca Gallesi nel giugno 2011. Pubblicata su L'Avvenire il 26 ottobre 2011.
Errata corrige: Matteo Bittanti co-dirige la collana editoriale Ludologica insieme a Gianni Canova per le Edizioni Unicopli.
Luca Gallesi: Quanti sono - e "che tipi sono"- gli italiani che partecipano a giochi come World of Warcraft, e quante ore a settimana giocano mediamente?
Matteo Bittanti: World of Warcraft (WOW) è il MMORPG (acronimo di massively multuplayer online role-playing game) più giocato al mondo, con circa 11.4 milioni di iscrizioni attive (fonte: Blizzard, dato: marzo 2011). La lingua italiana non e’ contemplata – sui server si parla inglese, francese, tedesco, spagnolo, coreano, cinese e russo – anche se esistono alcune comunita’ e server dominati da players italiani. Inoltre esistono siti come World of Warcraft Italia che forniscono informazioni utili per giocatori del Belpaese. In realta’, WOW ha raggiunto una fase di plateau e gli abbonamenti non stanno piu’ crescendo al ritmo degli anni scorsi. Non ci sono statistiche e dati attendibili sui giocatori italiani. In compenso, sono in forte ascesa i social game su Facebook (Farmville e CityVille di Zynga in primis). Per questo genere ludico, i giocatori italiani sono tra i piu’ numerosi in Europa. Per farla breve, MMOG come WoW sono TIRED, mentre i social game come FarmVille sono WIRED.
Luca Gallesi: Esistono anche in Italia comunità di giocatori che partecipano a giochi "socialmente utili", come ad esempio World Without Oil, che insegna a risparmiare energia nella vita di tutti i giorni, o The Extraordinaries, che incoraggia il microvolontariato?
Matteo Bittanti: Per il momento c’e’ scarso interesse per forme videoludiche alternative a quelle puramente commerciali – imputabile al fatto che in Italia manca de facto una vera e propria cultura del videogame e che l'offerta disponibile e' in lingua inglese e in Italia l'inglese si parla poco e male (ci vorrebbe un social game che insegnasse le lingue in modo divertente). Il panorama del Belpaese e’ dominato dai grandi publisher statunitensi ed europei che hanno interesse a promuovere prodotti mainstream – mi riferisco a videogiochi spettacolari sul piano della forma ma generalmente poveri su quelli dei contenuti. L’equivalente videoludico delle produzioni di Michael Bay et similia. Costosi blockbuster che celebrano la tecnica senza smuovere i neuroni. L’industria videoludica “istituzionale” sforna sequel a ripetizione dei grandi successi (Mass Effect, Halo, Call of Duty, Uncharted). Da parte loro i mezzi di informazione – anche quelli specializzati (l'eccezione che conferma la regola e' l'eccellente sito IndieVault, in Italia) - danno pochissimo spazio alla scena indipendente. Sul fronte produttivo, l’offerta videoludica italiana e’ praticamente inesistente.
Luca Gallesi: La McGonigal, nel suo ultimo libro, sostiene che i giochi virtuali sono ingiustamente accusati di far perdere il contatto con la realtà, mentre invece aiuterebbero a sviluppare virtù individuali e a rafforzare legami di comunità. Qual è il parere di WIRED?
Matteo Bittanti: Premetto che rispondo in veste di studioso di videogiochi e non di collaboratore per WIRED: McGonigal non dice nulla di nuovo. Gia’ Johannes Huizinga, oltre mezzo secolo fa, spiegava in modo convincente nel suo capolavoro, Homo Ludens, che i giochi sono una delle forme piu’ efficaci nei processi di socializzazione. L’uomo comunica aattraverso il gioco. E lo stesso vale per l’opera seminale di Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine. Il gioco precede il linguaggio. Le pratiche ludiche accomunano l’uomo agli animali. L’idea e’ che i videogiochi possano, gosh, “farci perdere contatto con la realta’” e’ una sciocchezza, frutto dell’ignoranza e della tecnofobia. Se c’e’ un medium che incoraggia la socializzazione e’ proprio quello videoludico. Si tratta del resto, di un’accusa ricorrente, un’accusa che i videogiochi hanno condiviso con i media che li hanno preceduti, dal cinema alla televisione, senza dimenticare i libri. Invito a rileggere le critiche rivolte dai soliti allarmisti quando, negli anni ottanta, il walkman ha fatto la sua apparizione nel tessuto urbano. I catastrofisti profetizzavano l’emergere di una generazione di giovanastri alienati e asociali, intrappolati nelle loro bolle musicali... Ogni nuovo medium viene accolto con un misto di timore e tremore. Oggi molti apocalittici vedono in internet la nuova grande minaccia. Internet ci renderebbe asociali, distratti, superficiali. Direi che ce la stiamo cavando bene, no? Per decenni i videogame sono stati accusati di incentivare la violenza e tutte le ricerche attestano che, da vent’anni a questa parte il tasso di criminalita’ giovanile nelle societa’ tecnologicamente piu’ avanzate e’ in caduta libera.
Luca Gallesi: Il mercato dell'"hardware" per giochi (PSP,WII etc..) è in continua espansione; significa cheil pubblico si allarga verso fasce di età maggiori o aumentano i giovani che acquistano giochi?
Matteo Bittanti: Con l’introduzione di Nintendo Wii e con l’avvento dei social games, l’utenza videoludica – che e’ rimasta pressoche’ costante nelle due decadi precedenti – si e’ enormemente allargata. Oggi tuttavia sono tecnologie non squisitamente ludiche a trainare l’innovazione. Le cose piu’ interessanti infatti oggi sono su smartphone, tablet e online e vengono distribuite spesso a costo zero o irrisori, mentre le console – specie quelle portatili, come PSP – arrancano. Il caso di Angry Birds, scaricato da 250 milioni di utenti, parla chiaro. Nuove interfacce, come Kinect, hanno ampliato ulteriormente l’appeal del medium videoludico... Comunque l’idea che il mercato dell’hardware e del software sia in continua espansione e’ fallace. Le cifre ufficiali raccontano un’altra storia. Stando ai dati forniti da AESVI (Associazione Italiana Sviluppatori di Videogiochi), relativi allo stato dell’industria italiana dei videogame (consultabile qui in formato PDF), il mercato italiano nel 2010 ha fatto segnare una decrescita del 2,3% rispetto all’anno precedente – per altro una delle performance migliori all’interno di una crisi generalizzata dell’elettronica di consumo. In Italia, le vendite di videogiochi sono in netto calo: le console hanno perso l’8,9% a valore e - 7,4% a volume e i videogiochi per PC addirittura il 15,4% a valore e -19,9% a volume. Anche il segmento dei videogiochi per console portatili ha fatto segnare cifre negative: -22,5% a valore e -20,7% a volume. Piena crisi. Insomma, trend negativi su vari fronti e cifre ben lontane dal picco del 2008.
Luca Gallesi: Esistono applicazioni didattichi di giochi che potrebbero, in un futuro, essere adottati dalle scuole per insegnare divertendo?
Matteo Bittanti: Il videogioco in quanto tale meriterebbe di entrare nelle scuole. Come oggetto di discussione, come strumento didattico complementare al libro e al supporto audiovisivo. Simulazioni come SimCity e giochi strategici come Civilization presentano lo spessore intellettuale e culturale delle piu’ celebrate opere letterarie e cinematografiche. I videogiochi sono un’espressione compiuta della cultura visuale e della logica computazionale che caratterizza la nostra epoca. In breve, non si puo’ fare didattica, oggi, a prescindere dai videogame.
Luca Gallesi: Si possono fare previsioni sul futuro dei giocatori italiani "connessi"?
Matteo Bittanti: Non possono che aumentare perche’ la connessione e’ pervasiva. E non riguarda tanto o solo i computer da casa e le console, ma soprattutto smartphone e laptop.
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