"Dimenticare l'eureka. A costo di semplificare il pensiero di Steven Johnson, l'essenza del suo ultimo volume, Where Good Ideas Come From. The Natural History of Innovation (2010) (“Da dove provengono le idee brillanti. Storia naturale dell'innovazione”), sta tutta qui.
In breve: la tesi fondamentale dell'autore newyorchese è che le intuizioni più geniali sono raramente partorite da una singola mente - quella del genio romantico/scienziato solitario/inventore pazzerello celebrati dalla popular culture. Al contrario, sono il frutto di processi sociali che richiedono un prolungato periodo di incubazione. La conclusione paradossale è che l'epifania - l'illuminazione imprevedibile - presuppone una lunga gestazione. Le idee più gustose, quelle che ti cambiano la vita, vanno lasciate marinare a lungo, anziché cotte in pochi secondi col microonde. Le innovazioni che contano - dal world wide web alla neuroscienza (già discussa nel precedente La nuova scienza dei sistemi emergenti. Dalle colonie di insetti al cervello umano, dalle città ai videogame e all'economia, dai movimenti di protesta ai network, 2004), da Twitter al GPS - galleggiano per anni in una sorta di platonico iper-uranio (“thin air”, letteralmente: aria sottile) prima di assumere forma più definita. Le idee brillanti sono il frutto dell'incontro/scontro tra proto-intuizioni, spiegazioni differenti/divergenti dei medesimi fenomeni. E il cosiddetto genio spesso si limita ad assemblare in modo creativo frammenti di idee altrui per creare qualcosa di nuovo. Si potrebbe dunque affermare che il “genio” postmoderno è un deejay delle idee, ma questo lo avevano già intuito Pierre Levy e DJ Spooky. Ci troviamo dunque nel territorio di Thomas Kuhn (il suo capolavoro, Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, è l'opera scientifica più citata del ventesimo secolo), ma l'ambizione dello scrittore di Brooklyn è spiegare la genesi delle idee tout court. Inoltre, la sua prosa è decisamente più accessibile." (Matteo Bittanti)
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